U.O.E.I.
UNIONE OPERAIA ESCURSIONISTI ITALIANI
Sezione "Antonio Tessa" - RIPA DI VERSILIA
 
GHIACCIAIO DEL CEVEDALE
Alpi Retiche
Percorso: anello dal Rifugio Pizzini-Frattola Segnaletica:biancorossa CAI segnavia 28, 28b
Dislivello: m.circa 1069 (1591 complessivi) Tempo di percorrenza: ore 7,30circa
Classificazione: EEA Punti sosta: rifugio Casati
Acqua:ai rifugi Pizzini-Frattola e Casati Periodo consigliato:estate

Il monte Cevedale (Zufall Spitzen) è lo spartiacque tra le valli di Pejo, di Martello e Valfurva; si dovrebbe però parlare,più che di una singola cima, di un gruppetto di tre punte, a partire dalla più alta a sud-ovest (3769 m) a quella di nord-est (3757 m) e la più vicina (3700 m). Sono tutte collegate da una sottile cresta di circa 700 m che offre una bella via di ritorno dalla cima più elevata. Abbiamo scelto il ghiaccio del Cevedale perché pur presentato alcune difficoltà, legate soprattutto ai crepacci e al rischio nebbia, è un ghiacciaio che può essere salito anche da cordate non particolarmente esperte. Su un ghiacciaio i rischi potenziali sono comunque da non sottovalutare perciò l'abbiamo programmata dopo una serie di escursioni preparatorie che hanno consentito a tutti di raggiungere un buon grado di allenamento. Partiamo di buon'ora dalla sede di Ripa con destinazione Santa Caterina Valfurva, siamo tutti baldanzosi nonostante la levataccia ma basta imboccare l'autostrada perché sul pullman scenda il silenzio, una buona dormita non fa mai male! Dopo la sosta colazione l'umore migliora, iniziamo a fare progetti, già ci vediamo sulle più belle cime delle Alpi Retiche.Di tempo ne abbiamo, il viaggio sembra non finire mai, almeno per chi come noi scalpita per calzare gli scarponi; a mezzogiorno siamo all' Aprica. Sosta per un panino e poi di nuovo in viaggio perché alle 15,30 ci attendono a Santa Caterina. Arriviamo in perfetto orario fermandoci nell'ampio parcheggio in attesa dei mezzi fuoristrada che porteranno gli zaini fino al Rifugio Pizzini-Frattola dove dormiremo. In lontananza si intravedono le prime cime innevate, che sensazione! Siamo partiti dal mare in una mattinata afosa ed ora siamo a ridosso di splendide cime innevate con una temperatura gradevolmente fresca. L'abbigliamento "da viaggio" finisce velocemente nei borsoni sostituito dall'amato abbigliamento da escursione. Indossare finalmente gli scarponi da una sensazione di libertà infinita e ci fa sentire ancora più uniti. Purtroppo ci attendono sei chilometri di strada asfaltata, dissuadiamo alcuni esagitati dal percorrerla a piedi decidendo, giustamente, di salire tutti sui fuoristrada che il gestore del rifugio Pizzini-Frattola ci ha messo a disposizione.

In circa 20 minuti raggiungiamo l'albergo rifugio Ghiacciaio dei Forni dove termina l'asfalto (la strada costituisce comunque un tratto del sentiero (segnavia 28); qui proprio non resistiamo lasciamo sui mezzi gli zaini, peraltro assai pesanti, e ci incamminiamo. Va comunque sottolineato che il servizio di fuoristrada è un servizio pubblico che consente a chiunque di poter raggiungere facilmente il rifugio Pizzini-Frattola direttamente dal parcheggio di Santa Caterina. Seguiamo inizialmente la carrareccia di collegamento ai rifugi lasciandola comunque ben presto, per imboccare il sentiero (segnavia 28b) che sale sostanzialmente parallelo alla carrareccia tracciato originale del sentiero stesso. Guadagniamo subito quota, il panorama si apre ulteriormente, il ghiacciaio del monte Pasquale (m. 3553) nasconde il Cevedale dandoci comunque un assaggio delle emozioni che proveremo.

Il sentiero è facile salendo gradualmente non avvertiamo gli effetti della quota, tuttavia non dobbiamo esagerare col ritmo, siamo comunque a 2600 metri, qui l'ossigeno comincia a diminuire e noi dieci ore fa eravamo al livello del mare. Attraversando un territorio utilizzato anche per l'allevamento allo stato brado possiamo subito godere della vista di antiche malghe e mucche al pascolo, siamo davvero frastornati da tanta bellezza; ora intravediamo anche il Cevedale e molto in lontananza, solo un piccolo puntino, il rifugio Pizzini-Frattola. Siamo distratti da tanta bellezza solo quando incontriamo i primi resti delle postazioni belliche, ricordiamo immediatamente le sofferenze che quei poveri ragazzi hanno patito su queste cime che ora, a noi, danno tanta gioia. Alcuni di noi hanno avuto un nonno che ha combattuto in montagna, magari non ricordiamo molto di lui e dei suoi racconti ma la sensazione che proviamo è fortissima.

Spostiamo la nostra attenzione sulla maestosità del Gran Zebrù (Konig Spitze) (m. 3851) che ci offre una vista mozzafiato magistralmente illuminato dalla mano che guida la natura. Nonostante il sole che filtra tra le nuvole cominciano a cadere le prime gocce di pioggia, il rifugio è abbastanza vicino ma non tanto da evitarci una bagno se dovesse piovere davvero; affrettiamo il passo procedendo oramai alla spicciolata. Il rifugio Pizzini-Frattola(m. 2700) sorge all'inizio della testata della Val Cedèc situato in un'incantevole posizione panoramica, dove emerge l'attacco alla parete sud del Gran Zebrù mentre sul versante opposto si aprono alla vista grandi ghiacciai e maestose vette. Al rifugio ci informano subito che l'attrezzatura deve necessariamente essere lasciata al piano inferiore, niente scarponi, ramponi e piccozze ai piani superiori! Ben presto ci sistemiamo in camera, siamo sorpresi dai comfort offerti, il locale attrezzature è riscaldato e dotato di una stufa per asciugare scarponi e indumenti, le camere sono spaziose, ben arredate e… dotate di termosifoni e luce elettrica per tutta la notte! Un lusso a cui non siamo abituati. Prepariamo in fretta le brande, a dire la verità sistemiamo un po' tutto alla rinfusa perché la voglia di scappare fuori per iniziare a goderci l'ambiente è troppa. Piove leggermente, la temperatura però è tutto sommato gradevole (6 °C), impossibile distogliere lo sguardo dal Gran Zebrù, dalla Vedretta del Pasquale, dalla vedretta del Cevedale, dal Cevedale che riusciamo ad intravedere a malapena tra le nuvole, dal rifugio Casati e dai 550 m di dislivello per raggiungerlo. Solo la fame ci fa rientrare, un panino all'Aprica, una barretta per strada, ora ci vuole proprio una cena seria. Gran festa quindi ai pizzoccheri che sarebbero ottimi con un buon bicchiere di vino che però è meglio lasciare a domani sera! Dopo cena riunione col capo-gita per decidere le cordate cercando di armonizzarle al meglio, breve ripasso dei nodi e verifica dell'attrezzatura. Poi tutti a nanna, sveglia alle 4,30. Come sempre accade la sveglia arriva troppo presto, ci attardiamo un poco in branda tanto abbiamo il bagno in camera non c'è da correre; in realtà però abbiamo tutti ancora sonno.Consumiamo in fretta la colazione, abbiamo voglia di sentire l'aria frizzante della mattina (2°C), di conoscere finalmente la guida che ci accompagnerà e di mettere veramente in moto le gambe. Ernesto, la nostra guida, ci attende fuori dal rifugio, facciamo rapidamente le presentazioni e corriamo a recuperare ramponi, piccozza e corde. Quanto pesa lo zaino! Eppure abbiamo diligentemente cercato di lasciare al rifugio tutto ciò che non sia strettamente necessario! Fa davvero freddo, il termometro sistemato all'ingresso del rifugio indica 2°C ma è sotto una tettoia, all'aperto siamo sicuramente a zero; indossiamo guanti e cappelli di lana incamminandoci tra i mugugni dei "volontari" che hanno dovuto caricarsi anche le corde. Imbocchiamo il sentiero (segnavia 28b) che prosegue dal piazzale del rifugio seguendo il tracciato della carrareccia che conduce alla teleferica di servizio del rifugio Casati. I segni non sono troppo evidenti ma è comunque impossibile sbagliare, d'altronde basta camminare in direzione del Casati che si intravede in cima al Passo del Cevedale. Ben presto si deve guadare il torrente Cedèc che fortunatamente qui è poco profondo nonostante sia ben alimentato dal disgelo, raggiungendo con facilità i Laghi di Cedèc (m. 2744).

Comincia ad albeggiare, i primi raggi del sole illuminano il Gran Zebrù offrendoci uno spettacolo che non dimenticheremo facilmente; i laghi sono immobili e riflettono l'immagine delle montagne, camminiamo in silenzio affascinati. Qui il terreno e sassoso e arido, ci sorprendono le numerose fioriture e in particolare le margherite che al mattino presto hanno i petali tutti rivolti all'indietro per proteggersi dal freddo. Superata la zona dei laghi si deve piegare a destra abbandonando la carrareccia e imboccando la traccia del sentiero che inizia subito a salire, la fatica si fa immediatamente sentire certamente aiutata dalla quota. Ernesto si prodiga in preziosi consigli che ci saranno molto utili in seguito. Cerchiamo di tenere unito il gruppo ma la salita ci costringe a frazionarci, raccomandiamo a tutti la massima attenzione anche perché man mano che saliamo il terreno diventa gelato ed incontriamo la neve caduta ieri; quella che al Pizzini-Frattola era acqua quassù erano fiocchi di neve! Avvicinandoci al Passo diventano ben evidenti i resti delle fortificazioni e dei reticolati austriaci. Arriviamo al rifugio Casati (m. 3254) alle 8,00 circa, c'è un bel sole che ci riscalda subito nonostante il vento gelido.

Zaini a terra iniziamo a legarci in cordata e a scambiarci opinioni riguardo alle preferenze: è meglio usare il nodo bulin o il nodo delle guide? Sicuramente saremmo ancora a discutere se Ernesto non mettesse la parole fine ad ogni discussione optando per il nodo delle guide e verificandone di persona la corretta esecuzione. La neve è dura ma non troppo ghiacciata possiamo procedere senza ramponi, faticheremo meno e ci gusteremo di più la progressione. Sottolineiamo che la decisione adottata, avvallata dal parere favorevole di una guida alpina, è valida solo per la giornata della nostra escursione. Partiamo alle 8,40 in una lunga fila con i capi-cordata che "minacciando piccozzate" invitano a prestare attenzione a non calpestare la corda. Il primo tratto di ghiacciaio è solo in leggere salita, i bastoncini sono più indicati della piccozza per buona fortuna di chi essendo meno esperto qualche volta proprio non riesce ad evitare di calpestare la corda; poco male siamo comunque senza ramponi.

La neve per ora è ottima camminiamo bene, non si sprofonda e non si scivola, è proprio piacevole col sole che ci scalda e una leggera brezza fredda che ci rammenta che siamo in alta quota. La fatica comunque inizia a farsi sentire e la quota accorcia il respiro; passi brevi a cadenzati raccomanda la guida! Cominciano gli strattoni alla corda, il panorama è così maestoso che risulta quasi impossibile non scattare foto; dopo mugugni vari troviamo un accordo, i fotografi che nella nostra cordata sono tre su quattro devono annunciare le loro intenzioni gridando: fotooo! Ma solo fino a quando l'ascesa non diverrà più impegnativa, dopo scatteremo le foto solo quando il capo-cordata lo riterrà possibile.

Oramai siamo in vista della vetta, si tratta di affrontare il tratto più impegnativo, ripido e crepacciato. Calziamo i ramponi, da ora in poi sarebbe rischioso proseguire senza, stop alle foto facili, via i bastoncini, mano alle piccozze e avanti con rinnovata attenzione disponendo le cordate in modo da alternare cordate esperte ad altre meno esperte. Le pause ora diventano frequenti, anche troppo, perché qualcuno risente della quota; superiamo con precauzione alcuni crepacci ben visibili continuando a salire con attenzione per individuare eventuali crepacci nascosti. La traccia che parte dal rifugio Casati e conduce in vetta è ben marcata e visibile, attraversa però ampi pianori che invitano a camminarne fuori, questo rappresenta un errore da non commettere e un pericolo da evitare; camminando fuori dalla traccia è impossibile individuare crepacci nascosti.

Siamo un po' stanchi ma entusiasti della camminata, alcuni è la prima volta che salgono a queste quote. La crepaccia terminale è il punto più pericoloso dell'escursione, si tratta di un profondo crepaccio in un punto assai esposto. Rinnoviamo la raccomandazione a procedere con cautela facendo sicurezza, raccomandazioni mai superflue anche se abbiamo tutti una certa esperienza. La neve è ora ghiacciata i ramponi fanno un'ottima presa ma la piccozza riesce a penetrare solo per pochi centimetri, sarebbe difficile frenare una caduta qui.

Raggiungiamo la cresta senza intoppi piegando a destra in direzione di un vecchio bivacco diroccato e verso la vicina vetta. Lo spazio è piuttosto angusto e noi siamo un gruppo numeroso (19 partecipanti) dobbiamo prestare particolare attenzione a sistemarci in sicurezza senza calpestare le corde, ora che calziamo i ramponi le danneggeremmo gravemente mettendo a repentaglio la sicurezza.

Ci abbracciamo congratulandoci in particolare con coloro che sono alla prima esperienza d'alta quota, mentre la stanchezza come per incanto scompare. Abbiamo l'impressione di essere al centro dell'universo, a 360 gradi abbracciamo un panorama incredibile: cime innevate, ghiacciai, vallate inondate dal sole, il lago del Coston e il Gran Zebrù di una bellezza mozzafiato; scattiamo decine di foto. Consci delle previsioni meteo che ben conosciamo non sottovalutiamo le nubi che stanno salendo, ben presto decidiamo di scendere. E' oramai mezzogiorno e nel pomeriggio sicuramente pioverà, sarebbe demenziale farci sorprendere in quota.

Come ogni buon escursionista sa la discesa è sempre la parte più pericolosa di ogni escursione, in particolare su un ghiacciaio. Ci consultiamo con la guida decidendo l'ordine di discesa delle cordate ancora una volta alternando cordate esperte con altre meno esperte. Con un po' di preoccupazione iniziamo a scendere, ora c'è veramente pericolo. Scendiamo su un ripido pendio di neve ghiacciata con alla sinistra un canalone che conduce dritto fino alla testata della val Cedèc lungo la Vedretta del Cevedale. Seguiamo con attenzione i meno esperti che fortunatamente non hanno evidenti difficoltà, a parte un po' di timore per il vuoto; la crepaccia terminale ora è un passaggio veramente difficile che superiamo con lentezza ben attenti a mantenere tutti in sicurezza. E' tardi per salire, troppo tardi, tuttavia continuano ad arrivare cordate che ci incrociano salutandoci allegramente; speriamo che non li colga il temporale pomeridiano! Ritornati sul pianoro ci togliamo i ramponi, da ora in poi sarebbero più un ostacolo che un aiuto, mentre Piero inveisce coloritamente contro chi gli ha portato fin qui i bastoncini che lui ha dimenticato in vetta! Bel ringraziamento vero? Beh bisogna però dire che lo abbiamo superato in discesa senza dirgli nulla proprio mentre voleva rigirarsi per tornare a prenderli e che, comunque, visto che si lamentava tanto sono stati gettati lontano costringendolo ad un breve(!) fuori traccia. Fotografi di nuovo in azione mentre scendiamo dirigendoci verso cima Tre Cannoni così chiamata per la presenza di tre cannoni posizionati dagli austriaci a difesa della vallata. Una cordata, forse attratta dal miraggio di un piatto di minestrone procede spedita verso il rifugio Casati, peggio (?) per loro. La traversata del pianoro è particolarmente difficoltosa e pericolosa, la neve allentata ci fa sprofondare quasi ad ogni passo e basta uscire un po' dalla traccia per finire in qualche buca avvisaglia della presenza di profondi crepacci. Raggiunto il contrafforte roccioso ci sediamo esausti riposando un poco prima di guardare i cannoni neutralizzati dall'avanzata italiana ma tuttora in ottimo stato di conservazione. Ci chiediamo senza saperci dare una risposta esauriente come abbiano fatto a portare un simile peso fin quassù, ricordando ancora una volta quanti sacrifici, fatica, distruzione e morte abbia portato la guerra.

Il ritorno al rifugio Casati è interamente in piano ma la neve allentata la rende una tortura. La stanchezza si fa sentire, ad ogni passo praticamente si sprofonda fino al ginocchio. Il rifugio è li ma sembra di non arrivarci mai; non abbiamo indossato le ghette perché effettivamente sul Cevedale sarebbero state solo un ingombro ma ora la neve fradicia entra dappertutto. Mannaggia! Arrivati, finalmente, al rifugio ci sciogliamo e ci togliamo gli imbrachi; in cordata eravamo in quattro ma due sono letteralmente scomparsi, eppure eravamo legati insieme! Bah, pazienza tocca a noi sistemare tutta l'attrezzatura, ah ma da ora in poi la corda la portano loro! Non si discute su questo. Il sole è accecante, impossibile guardare il ghiacciaio senza occhiali da alpinismo. Ci stravacchiamo sulla terrazza del rifugio Casati fermamente intenzionati a consumare un frugale pasto al sacco mentre salutiamo gli amici che non sono venuti sul ghiacciaio. Poi qualcuno comincia a parlare di minestrone, qualcun altro di pastasciutta e come per magia le barrette scompaiono negli zaini; un pasto serio ce lo siamo proprio meritato. Impossibile però restare troppo all'interno, siamo escursionisti che diamine! Ora però soffia un vento molto freddo che ci costringe a indossare di nuovo guanti, berretti e giacche; c'è ancora un bel sole ma le nuvole stanno chiudendosi è bene non aspettare troppo a scendere. Ne approfittiamo per una telefonata a casa dato che da qui i cellulari funzionano al contrario del rifugio Pizzini-Frattola, ci facciamo una foto di gruppo e ci prepariamo a scendere dopo aver salutato Ernesto, una guida alpina di rare capacità umane e tecniche, che scende prima di noi. Partiamo in piccoli gruppi incalzati dal tempo che peggiora vistosamente, c'è il rischio concreto di prendere la pioggia. La discesa decisamente ripida impone di prestare molta attenzione sarebbe facile scivolare o far cadere sassi su chi ci precede. Quando raggiungiamo nuovamente il torrente Cedèc abbiamo una bella sorpresa, il disgelo della giornata l' ha fatto talmente ingrossare che risulta difficile guadarlo senza inzupparsi. Pazienza tanto siamo quasi arrivati e comunque comincia a piovere. Siamo rientrati tutti senza alcun problema, il capo gita può finalmente tirare un respiro di sollievo e rilassarsi ma siamo più sollevati tutti quanti, non è facile ne privo di rischi accompagnare un gruppo di 19 persone, alcune delle quali alla prima esperienza di ghiacciaio, su una vetta a quasi quattromila metri. Questa sera il rifugio è affollato, c'è in corso un'esercitazione del soccorso alpino, ora possiamo ironizzare! Ci togliamo gli scarponi e gli indumenti umidi dandoci appuntamento al bar per una birra ma ne siamo poco convinti; una bello doccia calda è più invitante! In effetti cullati dal rumore della pioggia che cade adesso con una certa intensità ci sdraiamo rimandando il brindisi e la spedizione di cartoline a più tardi. Nei rifugi le bevande sono sempre escluse dal menù cosi ognuno pensa bene di passare dal bar per prendere una bottiglia da bere con gli amici e alla fine ci ritroviamo con tanta acqua, vino e birra da non sapere cosa farne. Poi ci ricordiamo che dalla mattina abbiamo bevuto troppo poco, che domani ci attende una tranquilla discesa senza zaini e comunque non dovevamo fare un brindisi? Ne scaturisce una bella serata e una tranquilla dormita, e vorrei proprio vedere!

Domenica mattina sveglia alle sette, colazione e preparativi, tutto sembra al rallentatore; è scomparsa la tensione dell'ascesa mentre comincia a serpeggiare la nostalgia che sempre ci prende quando si deve tornare. Diamo un'occhiata alle cime, quanta neve è caduta stanotte! Di nuovo carichiamo gli zaini sui fuoristrada decidendo di scendere comunque a piedi a caccia fotografica di marmotte. Poche centinaia di metri più a valle notiamo un branco di mucche al pascolo e uno strano camioncino, è una stazione mobile di mungitura. Parliamo un poco col proprietario che ci informa con rammarico che il suo è un mestiere destinato a finire presto per gli ostacoli che il parco dello Stelvio gli frappone, siamo sconcertati da tanta cecità. Ci invita a visitare la Malga dei Forni, non vendono prodotti ma è comunque interessante.

Un fischio acuto ci avverte che le marmotte ci hanno individuato, scendiamo ora con calma senza fare troppo rumore e loro non tardano a lasciarsi osservare e fotografare. Intere famiglie giocano tranquillamente nascondendosi solo se ci facciamo veramente troppo vicini. Ci riuniamo tutti al rifugio Forni dove ci attendono i fuoristrada per riportarci a Santa Caterina, ci saliamo a malincuore perché sappiamo che stiamo veramente lasciando queste montagne che abbiamo sognato per una stagione. A Santa Caterina ci attende il pullman che ci condurrà, insieme ai turisti a visitare alcune attrattive del lago di Como, ma noi siamo gia con la testa a casa e alla nuova escursione.


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