U.O.E.I.
UNIONE OPERAIA ESCURSIONISTI ITALIANI
Sezione "Antonio Tessa" - RIPA DI VERSILIA
 
Appennino Tosco Romagnolo
CASCATE ACQUA CHETA
Percorso:ad anello da San Benedetto in Alpe Segnaletica:segni bianco-rossi CAI 409 - 407
Dislivello: m.circa 520 Tempo di percorrenza: ore 4 circa
Classificazione: E Punti sosta: nessuno
Acqua: S. Benedetto in Alpe e alcune fontanelle lungo il percorso Periodo consigliato: tutto l'anno in assenza di neve
Le Cascate dell'Acquacheta si trovano nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna e sono esattamente al confine tra la Toscana e l'Emilia Romagna. Esse possono essere raggiunte da entrambi i versanti. Sicuramente il percorso più breve e più semplice è quello che parte in Romagna e precisamente dal paese di San Benedetto in Alpe (485m slm). Nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Campigna e Monte Falterona si va, sicuramente, al di là della sola natura, visto che tutta l'area è avvolta da un alone poetico e mistico. Poeti e santi hanno, da sempre, amato la natura e il silenzio delle Foreste Casentinesi e natura e silenzio sono, ancora oggi, la vera forza di quest’area appenninica. Area protetta dal 1990, che si estende per più di 36.000 ettari risalendo dalla valle dell’Arno fino al crinale appenninico per poi discendere in Romagna.
Per raggiungere San Benedetto in Alpe dalla Versilia, si deve percorrere l'autostrada A11 Firenze Mare fino a Firenze. Quindi immettersi sulla A1 Autosole in direzione sud uscendo a Firenze Sud dove si deve imboccare la statale SS 67 Tosco-Romagnola in direzione di Forlì proseguendo per il Passo del Muraglione. Proseguendo sulla statale si raggiunge il paese di San Benedetto. Il percorso è assai lungo, pertanto conviene partire di buon'ora.
Le cattive abitudini apprese nel periodo pasquale si fanno ancora sentire, sul pullman regna un silenzio inconsueto, interrotto solo a tratti dal russare di qualcuno. Nemmeno lo scalo "tecnico" all'autogrill di Serravalle serve a molto, ci svegliamo solo quando imbocchiamo la statale del Muraglione; e vorrei vedere con tutte quelle curve! Qui in Appennino la temperatura è molto diversa da quella della nostra campagna, nei campi c'è ancora la brina, siamo contenti di avere portato lo giacche a vento, peraltro messe nello zaino per paura della pioggia non del tutto esclusa dalle previsioni. All'arrivo nella piazza-parcheggio di San benedetto in Alpe ci accoglie però un bel sole e un cielo senza ombra di nuvole; l'aria è frizzante ma si capisce subito che farà caldo. Ad attenderci troviamo un gruppo di amici fiorentini arrivati in auto; partiamo alle 9,30, ci contiamo rapidamente: siamo in 33.
Uscendo dal parcheggio si deve attraversare il ponte, scendere alcuni gradini che conducono verso una cappella e imboccare il sentiero che corre lungo l'argine del Fosso Acqua Cheta, sulla sua destra orografica. Ben presto si scorgono i segni bianco-rossi (segnavia 409). I nuovi segni si sovrappongono spesso ai vecchi , tutti comunque indicano lo stesso percorso. Si inizia subito a salire, la salita sarà ininterrotta fino alla massima quota raggiunta, pertanto conviene prenderla con calma. Il sentiero è pulito e tranquillo, c'è solo molto fango ma d'altronde siamo in Appennino in una zona dov'è caduta molta neve. Il bosco di castagni è suggestivo, dopo poco infatti abbandoniamo la riva del torrente per addentrarci nel bosco. Subito incontriamo le prime fioriture, tappeti di primule, i primi bucaneve e anemoni. C'è un po' di vento e all'ombra la temperatura si mantiene piuttosto fresca, ma appena attraversiamo tratti assolati si capisce immediatamente che sarà una giornata tiepida, ideale per la prima tintarella! Superato il bivio dove il sentiero lascia l'argine per inoltrarsi nel bosco, si deve svoltare a sinistra incontrando il primo tratto in forte ascesa. Ben presto si raggiunge una piccola frana caduta anni addietro oramai praticamente rimarginata, la si aggira dall'alto continuando a salire fino a raggiungere un pianoro caratterizzato da castagni secolari.
Stranamente oggi non si lamenta nessuno, è un buon segno, e il gruppo è unito. Alle 10,10 raggiungiamo il pianoro, località Pianarelle; ora la temperatura è davvero piacevole, non possiamo chiedere di meglio per un'escursione appenninica. Distratti dal panorama, il fondovalle col torrente, e dalla fioriture sempre più sorprendenti qualcuno resta vittima di capocciate contro alcuni tronchi che la neve ha fatto cadere sul sentiero, quale occasione migliore per prenderci in giro! Da qui il sentiero taglia ancora per un tratto il versante per poi inerpicarsi su uno dei crinali del Monte Prato di Andreaccio (m. 991) mentre il castagno lascia il posto al faggio. Questo è il tratto più ripido, rallentiamo per mantenere unito il gruppo mentre le battute e le chiacchiere cominciano a diminuire, segno che la fatica si fa sentire. Se possibile il bosco si fa ancora più suggestivo mentre il panorama pian piano si apre su tutta la vallata. Improvvisamente il bosco finisce, siamo ora su un ampio pianoro, da qui possiamo ammirare un panorama maestoso e scorgere il Monte Falterona in lontananza, sono le 11,25. Ora che il sole è alto comincia a fare caldo, ci fermiamo un attimo per scattare qualche foto e per mangiare qualcosa. Il punto dove ci troviamo costituisce la massima quota raggiunta dall'escursione, da ora in poi è tutta pianeggiante o in discesa.
Ci incamminiamo verso le case di Pain della Posta facendo molta attenzione perché il sentiero è agevole ma devastato dai cinghiali che sul pianoro trovano cibo in abbondanza. Pian della Posta è situato sulla strada mulattiera che unisce la Romagna alla Toscana, ospitava una stazione di posta dove i viandanti potevano cambiare i cavalli. Attualmente sono in stato di totale abbandono e quasi completamente diroccate ma, ironia, il sentiero passa proprio attraverso l'unica porta rimasta in piedi. Beh, in effetti aggira le costruzioni ma che uoeini saremmo se non fossimo passati dalla porta? Dopo poco incontriamo la mulattiera che percorriamo per pochi metri per poi deviare sul sentiero a destra, ben evidente, che senza grandi strappi porta al grande anfiteatro erboso dove sorgono le Case Monte di Londa (m. 937). Anch'esse sono purtroppo diroccate, è un vero peccato perché rappresentano un importante pezzo di storia presentando anche interessanti spunti architettonici. Sorprendenti i grandi blocchi di arenaria, interamente scalpellati a mano, che costituiscono le cantonate e le cornici delle finestre. Procediamo ora fino ad un bivio dove si deve svoltare a destra, seguendo la segnaletica CAI, in direzione delle Balze di Trafossi (m. 952). Da qui il sentiero scende decisamente raggiungendo il Fosso Acqua Cheta che seguiremo in discesa fino a raggiungere un facile guado su roccette di arenaria.
Siamo in tanti e alla fine una roccetta in mezzo al guado comincia a traballare per la gioia dei fotografi che si appostano per immortalare un bel tuffo che, disdetta, non c'è. Si giunge così sull'ampio pianoro erboso dei Romiti che va attraversato dirigendosi verso l'altura dove sorgono i ruderi di un antico convento benedettino costruito nel 986. I ruderi, appositamente transennati perché esiste il pericolo di crolli, sono un altro esempio della maestria con cui veniva lavorata l'arenaria. Ci fermiamo al sole nel piccolo prato alla sommità della collinetta, proprio sopra il salto principale della cascata. Ora fa caldo, trovato un posto riparato dal vento è piacevole assaporare il tepore primaverile, sono le 12,30. Si devono ora aggirare i ruderi dall'alto portandoci sul retro in corrispondenza di un cancello di legno dotato di un ingegnoso sistema di chiusura automatica: un grosso sasso legato ad una corda fissata all'intelaiatura di sostegno che col suo peso lo costringe a chiudersi. Ovviamente l'esperto di turno si produce in mille contorsioni per superarlo prima di capire che si apre facilmente. La mulattiera scende rapidamente verso il Fosso Cà del Vento e il salto secondario della cascata. Ci attende un altro guado, anche questo effettuato senza tuffi, per portarci sull'altro lato del torrente, la sinistra orografica, dove la mulattiera prosegue conducendo fino al paese. Ognuno vuole scattare una foto o farsi fotografare sullo sfondo della cascata e non possono mancare alcuni sassi magistralmente lanciati in acqua proprio mentre il gruppo è riuscito a mettersi in posa senza bagnarsi.

Proseguiamo raggiungendo in breve un balcone naturale dal quale appare in tutto il suo sviluppo la Cascata dell' Acqua Cheta. Il salto di oltre 70 metri è imponente e fragoroso, si capisce subito come possa aver ispirato il sommo poeta. Dante, infatti, trasse profonda ispirazione proprio ammirando la cascata che gli ispirò i versi:

Come quel fiume c'ha proprio cammino
prima del Monte Viso 'nver levante,
da la sinistra costa d'Apennino,
che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante,
rimbomba là sovra San Benedetto
de l'Alpe per cadere ad una scesa
ove dovea per mille esser recetto;
così giù d'una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell'acqua tinta,
si che 'n poc'ora avría l'orecchia offesa.

(Inferno, Canto XVI, 94/105)


La mulattiera prosegue in discesa senza presentare più alcun problema di orientamento essendo ben segnalata e battuta da escursionisti. Ognuno è quindi libero di scendere al proprio ritmo seguendo la strada che più volte si porta sulle sponde del torrente caratterizzato da brevi salti rocciosi e da piccole e profonde piscine naturali meta di bagnanti nel periodo estivo. Ci concediamo un'ultima sosta in un'area attrezzata sulle sponde del torrente, oramai il paese è in vista, siamo praticamente arrivati. Ricompattiamo il gruppo per percorrere insieme l'ultimo tratto. Siamo al pullman alle 16 circa; ci attendono tre ore e mezzo di viaggio ma ne vale proprio la pena, abbiamo concluso un'escursione piuttosto breve, e facile ma di rara bellezza che merita sicuramente un viaggio così lungo. Chi volesse ripetere il percorso in estate non deve lasciarsi spaventare dal caldo, per la quasi totalità il sentiero è all'ombra. Unico problema la portata del fosso Acqua Cheta che diminuisce sensibilmente; ma ci si può consolare con un tuffo in una delle tante piscine naturali.

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