U.O.E.I.
UNIONE OPERAIA ESCURSIONISTI ITALIANI
Sezione "Antonio Tessa" - RIPA DI VERSILIA
 
Monte TAMBURA
Alpi Apuane Settentrionali
Percorso: anello dal paese di Resceto Segnaletica:biancorossa CAI segnavia 170, 167, 148, 36, 166 b
Dislivello: m.circa 1510 Tempo di percorrenza: ore 6 circa
Classificazione: EE Allenati Punti sosta:Bivacco Aronte (verificare se aperto)
Acqua: solo in paese a Resceto Periodo consigliato:dalla primavera inoltrata all'autunno solo se non c'è neve
Oggi abbiamo un appuntamento " virtuale" con tutte le Sezioni UOEI d'Italia su una vetta; come ogni anno infatti prendiamo in considerazione una cima, e una volta su ci riuniamo tutti virtualmente come se fossimo davvero tutti assieme. Quest'anno, noi di Ripa di Versilia, abbiamo deciso di andare sulla Tambura. Purtroppo ci ritroviamo solo in sei, ci consola il fatto che gli abituali escursionisti sono andati in gita all'Isola del Giglio, comunque sempre un'escursione della nostra Sezione. Beh è inutile aspettare di più, possiamo partire.
Ci dirigiamo alla volta di Massa e da qui seguiamo le indicazioni che portano verso Forno e Resceto (485 m), la nostra destinazione. Ci arriviamo in circa mezz'ora e con sorpresa notiamo che molte macchine sono già parcheggiate prima del paese, calziamo gli scarponi e ci avviamo verso la piazzetta dove finisce la strada.
Qua è meglio fare una buona scorta d'acqua perché non troveremo più per tutto il percorso. Imbocchiamo la via appena sopra la piazzetta, da prima asfaltata ma che diventa subito sterrata; da qui comincia la famosa Via Vandelli, ardita opera di ingegneria stradale nata per mettere in comunicazione Modena con Massa, valicando l'Appennino e le Apuane. La strada, iniziata nel 1738 e terminata nel 1751, prende il nome proprio dal suo progettista, l'ingegnere Domenico Vandelli.
La percorriamo per pochi metri e poi prendiamo sulla sinistra il sentiero (segnavia 170) per il Passo della Vettolina e Case Carpano. All'inizio non è un gran che, procediamo infatti su una strada che conduceva ad una cava ormai abbandonata poi, terminata la strada inizia un sentiero, una vecchia mulattiera da molto tempo dimenticata che in alcuni tratti è solo una traccia. La difficoltà più grossa è dovuta comunque dalle numerose piante di ginestroni che con le loro spine ci rendono la vita difficile; in molti tratti inoltre il sentiero è di difficile individuazione per via di una folta vegetazione di felci e erba alta; comunque con attenzione si distinguono bene i segni posti di recente. Il caldo è opprimente neanche a queste quote si respira! Si giunge in prossimità di un ravaneto, su una roccia è segnalata una fonte, la cerchiamo ma troviamo sepolta nella vegetazione solo una piccola cannella che butta fuori pochissime gocce d'acqua, che delusione!! Ora si entra in un boschetto e si può tirare un po' il fiato, c'è un po' di fresco e si cammina meglio, mentre intravediamo il crinale segno che il tratto più ripido sta per finire. In breve giungiamo alla Foce della Vettolina (m.1.059) antico valico di pastori. Qui abbiamo una vista che da sola ci ripaga della fatica, lo sguardo si allunga dal golfo della Spezia a tutte le montagne delle Apuane settentrionali: il Sagro, il Grondilice, il Contrario e il Cavallo, sotto di noi la splendida valle degli Alberghi che sale dal paese di Forno.
Ci fermiamo per goderci questa meraviglia; insieme a noi molti altri escursionisti, che strano sembra che oggi tutti vogliano andare sulla Tambura! Ripartiamo, il sentiero prosegue in leggera salita e cosa non trascurabile, è all'ombra. Camminando non possiamo fare a meno di pensare a chi viveva qui nei periodi estivi portando con se le greggi al pascolo, ancora oggi un unico pastore resiste testimone di antiche memorie. Purtroppo le molte case, le case Carpano m.1047), sono ormai dei ruderi ma guardando i fianchi della montagna si distinguono sempre le zone che venivano coltivate in terrazzamenti. Imbocchiamo ora il sentiero (segnavia 167). Giungiamo ad una ripida salita tra alto paleo e si fatica un po' trovare il sentiero, comunque si sale agevolmente sino ad arrivare ad una corta crestina che si affronta senza problemi, da qui il panorama è ancora più bello perché si apre anche sulla valle di Resceto comprendendo oltre i citati monti anche la Tambura, la cima che ci prefiggiamo di raggiungere, l'Alto di Sella e il Sella, il Fiocca, il Sumbra e molte altre ancora.
A tale bellezze ti viene meno il fiato, già ne avevamo poco per il caldo e la fatica fatta ma ne vale sicuramente la pena. Seguiamo la crestina per pochi metri giungendo in prossimità di una cava, aggirando una casa di cavatori si seguono i segni che proseguono su lastroni di marmo conducendo ad una strada di cava; da qui inizia lo scempio. Il sentiero viene prima interrotto e poi scompare del tutto diventando una polverosa strada marmifera. Non ci resta che seguirla, a noi si uniscono altri escursionisti e molti altri ne vediamo scendere dalla Tambura, ma che cos'è? Tutti gli escursionisti della zona si sono dati appuntamento qui? Ci viene qualche dubbio e domandiamo il perché di una così nutrita presenza di persone dove di solito i camminatori si possono contare sulle dita delle mani. Ci svelano il mistero: oggi al Passo della Focolaccia c'è una manifestazione per la tutela e la salvaguardia del Passo e di tutte le Apuane. L'idea ci sembra buona ma pensiamo anche che potrebbe degenerare visto che sono presenti molti cavatori che vogliono difendere il loro lavoro. Proseguiamo verso il passo che finalmente raggiungiamo togliendoci da quella polvere. Il Passo della Focoloccia (m. 1650), situato tra il Monte Cavallo (m. 1890) e il Monte Tambura (m. 1895) è per l'appunto sconvolto dalle cave di marmo. Questo era un tempo un verde e ameno luogo dove fu inaugurato il 18 maggio 1902 il "Rifugio Aronte" (il più antico di tutte le Alpi Apuane) da parte del CAI ligure. Dal passo lo sguardo si affaccia su Resceto, da cui giungono due ripidissime lizze (la lizza del Padulello o lizza Silvia e la lizza della Focoraccia) o sulla vicina Punta Carina, guglia dalla caratteristica forma di pugnale e palestra di roccia per gli scalatori.
Ci fermiamo un po' per capire di cosa tratta la manifestazione e notiamo che ben presto gli animi si scaldano mantenendo ognuno la propria posizione. Una piccola riflessione la vorremmo fare anche noi. E' innegabile che il territorio è stato deturpato in maniera scellerata ma è anche vero che molti posti di lavoro tra le province di Massa e Lucca sono legati all'attività estrattiva. Bisognerebbe mettersi ad un tavolo, guardarsi negli occhi e ognuno cedere su qualche posizione. Una più controllata gestione delle cave con prelevamenti già stabiliti, pulizia delle stesse da rottami e ravaneti, e magari estrazioni da cave in galleria che hanno sicuramente minore impatto sull'ambiente, e dall'altra parte rispetto per chi fa un lavoro duro antico di millenni. Insomma esser meno intransigenti l'uno verso l'altro, queste idee potranno anche venire smentite ma sicuramente potranno essercene molte altre magari più valide avanzate da esperti nel settore. Chiusa la parentesi, iniziamo la salita vera e propria alla Tambura. Partiamo solo in quattro, il caldo soffocante ha tagliato le gambe a due di noi, decidiamo di ritrovarci al Passo. Un pò d'invidia per chi è nel fresco mare dell'isola del Giglio c'è! Prendiamo a destra della cava giungendo a un sentiero (segnavia 148) che ogni volta ci vai cambia posizione in funzione dell'avanzare della cava, all'inizio assomiglia più a un ravaneto che a un sentiero ma ben presto si guadagna la cresta per proseguire spediti su e giù per due gobbe giungendo finalmente in vista della vetta che raggiungiamo ben presto. Decidiamo di riposarci dieci minuti e poi di ricongiungerci agli altri per pranzare insieme. Intanto ci godiamo lo spettacolo: panorama eccezionale, lo sguardo si rivolge a tutte le cime delle Apuane settentrionali, in particolare al Pisanino, la Roccandagia, il Cavallo e il Pizzo Maggiore, la valle di Vagli con il suo lago, alla Garfagnana, gli Appennini, la Versilia, il mar Tirreno e se fosse stato più limpido si potevano veder tutte le isole dell'arcipelago toscano. Qualche fotografia, uno spuntino e poi via sotto un sole cocente. La discesa come la salita non presenta difficoltà eccessive ma comunque è d'obbligo stare sempre in guardia e procedere con prudenza, non dobbiamo dimenticarci che si cammina sul filo di cresta. In quarantacinque minuti si torna al Passo dove prosegue la manifestazione, per un po' ascoltiamo ma poi la fame si fa sentire e ci cerchiamo un posto all'ombra, ci sistemiamo e oggi visto che i soliti frettolosi non ci sono ce la prendiamo calma. Ci godiamo il fresco dell'ombra, davanti a noi uno degli spettacoli più belli delle Apuane, dietro di noi la sfascio di una cava, peccato! E' ormai ora di togliere le tende, ci avviamo e questa volta decidiamo di scendere dal sentiero (segnavia 166 b) della Lizza del Padulello o lizza Silvia; unica per la pendenza sempre fortissima, con il 15 % nel tratto più alto e poi sempre fa il 50-60 % con punte dell'80-90%. Dal Passo scendiamo per la sterrata fino ad una casa di cavatori presso le cave del Padulello. Appena sotto il piazzale davanti la casa di servizio della cava inizia la via di lizza, bisogna fare un po' di attenzione perché i detriti buttati per costruire la strada sterrata l' hanno ricoperta, comunque è segnalata. Si scende sulla "lastronata" di marmo del Piastrone (m.1.357) dove grazie a tacche intagliate è più agevole proseguire, alla nostra destra ci appare la guglia di Piastra Marina, una slanciata cuspide calcarea che s'innalza a valle per 150 m, staccandosi nettamente dal costone roccioso che scende dal Piastrone.
Scendiamo per la ripidissima via di lizza, per chi non conosce queste vie basti dire che fino agli anni cinquanta inizio sessanta venivano ancora usate come scivoli per trasportare a valle enormi blocchi di marmo . Naturalmente il nostro pensiero è andato più volte a chi con enormi sacrifici e anche a costo della vita faceva questo mestiere. A testimonianza di questo rimangano molti fori per i "piri" cippi di marmo, o legno, dove venivano avvolte le corde che trattenevano i blocchi, e lasciate lentamente per far si che il marmo scendesse piano evitando disgrazie che comunque accadevano troppo spesso. Altra testimonianza sono appunto i profondi solchi lasciati sulla roccia dalle corde che ci sfregavano sopra consumandole. Proseguendo la discesa incontriamo numerosi gruppi d'escursionisti che si riposano all'ombra stremati dal caldo, anche noi facciamo un paio di soste per ristorarci con delle belle bevute, l'acqua ghiacciata che ci siamo portati dietro si rivela ora è una bella bevanda che rinfresca tutto il corpo. Superiamo le ultime discese ripidissime e ci troviamo sul tracciato della Via Vandelli che scende dal Passo della Tambura, siamo molto vicini al paese di Resceto. Ben presto si intravedono le prime case e la via diventa una strada asfaltata che ci conduce in breve nella piazzetta del Paese dove una bella fontana ci attende per toglierci finalmente tutto quel sudore di dosso. Una maglietta asciutta, via gli scarponi, un paio di sandali e appuntamento alla nostra gelateria di fiducia a Ripa dove un mega gelato ci attende.

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