Per l’ultima escursione dell’anno il tempo non è stato clemente,
ha piovuto fino alle prime luci dell’alba. Questa era comunque un’escursione
facile, con varie alternative e, e poi era l’ultima: non volevamo
rinunciare. Qualcuno comunque si è spaventato, così siamo solo in
otto; fermamente intenzionati a non fermarci davanti a niente, ma
il tempo è migliorato ed è uscito anche il sole. Arriviamo a Casoli
e subito sbagliamo strada, si deve stare attenti e arrivati in paese
tenere la sinistra seguendo l’indicazione per il centro; la strada
prosegue oltre il paese portando all’attacco del sentiero segnavia
2. Lo troviamo sulla destra dopo una lunga fila di box in lamiera;
si imbocca una strada asfaltata e si prende il primo stradello a sinistra
che si inoltra nel bosco iniziando poco dopo a salire. Il percorso
è agevole anche se le pietre bagnate, e le foglie, ci costringono
alla massima attenzione. Proseguiamo fino ad un bivio dove si deve
svoltare a sinistra (i sentieri sono segnalati ma non numerati) mentre
il caldo, nonostante sia novembre la temperatura è mite, si fa sentire
e le felpe finiscono negli zaini.
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Proveniente dal fondo valle sentiamo
lo scroscio del torrente Lombricese, preavviso del superbo spettacolo
che godremo poi. Appena giunti in vista di un ponticello ci rendiamo
subito conto che la pioggia caduta ha ingrossato tutti i torrenti,
per fortuna però non ci sono guadi perché qui le mulattiere sono
ben tenute. Alla vista delle profonde pozze cominciamo ad incitare
Marcello, che non ha mai freddo, a fare un tuffo: “tanto lungo
come sei resti con la testa fuori”! |
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Proseguiamo sulla mulattiera fino ad una semicurva, sulla sinistra
si stacca il sentiero, segnalato con colori blu e giallo, che conduce
alla grotta. Ancora pochi minuti e giungiamo in vista dell’enorme
parete dove si apre l’”onda”, la fenditura che da il nome alla grotta.
Dalla partenza abbiamo impiegato un’ora e quaranta minuti. Una rumorosa
cascata che cade dalla cima del dirupo attira subito la nostra attenzione,
ma il vero spettacolo inizia quando, percorsi solo pochi metri, raggiungiamo
l’ingresso della grotta. Veniamo accolti da una miriade di cascatelle
alimentate dalla copiosa pioggia della notte.
Scherzando e ridendo ci facciamo una
piccola “doccia” ed entriamo sotto la grande volta ingombra di
detriti ma che lascia facilmente intuire i motivi che un tempo
lontanissimo la videro abitata dall’uomo. Nonostante l’acqua esterna,
dentro resta perfettamente asciutta, non è raggiunta dalle piogge
ma la luce la inonda praticamente tutta. La parete sinistra, interessata
da scavi archeologici, mostra evidente le tracce degli antichi
abitanti. Sostiamo a lungo e immortaliamo tutto prima di uscire,
attratti dai giochi d’acqua che l’altra parte della fenditura
ci offre. Questa parte, alta ma poco profonda, non si è mai prestata
all’abitazione ma il carsismo che la caratterizza fa uscire getti
d’acqua dai punti più impensabili. |
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Tra mille acrobazie ed espedienti per non bagnare le macchine fotografiche,
compreso qualche grossa goccia in testa, ma tanto colui che l’ ha
ricevute non si bagnava i capelli, cerchiamo qualche scatto particolare.
Non ci resta che tornare indietro intenzionati a raggiungere il sentiero
segnavia 2 per raggiungere la Foce del Termine. Non percorriamo
lo stesso sentiero, imbocchiamo una traccia ben evidente che inizialmente
corre proprio sotto il dirupo, dobbiamo attraversare un torrentello
, non ci sono pericoli ma comunque i sassi sono scivolosi, facciamo
tutti attenzione ma a volte non basta. Luciana scivola su una roccia
e finisce in acqua, fortunatamente neanche un graffio, solo gli scarponi
bagnati; è andata bene.
Ora camminiamo nel bosco, il terreno
è fradicio e scivoloso, le foglie sono un tormento; lentamente
raggiungiamo la mulattiera (segnavia 2) e la imbocchiamo
in salita. Dopo poche decine di minuti raggiungiamo una grande
roccia piatta che forma una spettacolare balconata sulla valle,
davanti a noi l’onda delle grotta. Usciamo dal bosco e attraversiamo
dei prati che conservano ancora evidentissime le tracce delle
vecchie coltivazioni: quando al piano il lavoro non c’era quei
prati erano tutte piane coltivate a patate, un prodotto tuttora
rinomatissimo, e orzo. Una volta raggiunta la Foce del Termine
ci concediamo una sosta per ammirare il panorama e per ricordarci
a vicenda che due di noi sono originari del paese che vediamo
davanti a noi: Palagnana. Seguiamo il sentiero segnalato AT
(Apuane Trekking) comune al segnavia 102 in direzione
Campo all’Orzo, Qui la segnaletica è affidata ai cartelli sistemati
proprio sulla Foce, ma non ci sono problemi perché basta camminare
un poco e la meta è subito visibile. |
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Camminando con tutta tranquillità, ricordando vecchie avventure
o intavolando discorsi seri sulla sicurezza sul lavoro, arriviamo
in prossimità della vecchia chiesetta oramai semi diroccata dove ci
fermiamo per il pranzo a mezzogiorno e cinquanta. La temperatura è
piacevole ma ben presto arriva la nebbia, nasconde il Prana ma non
ci preoccupa molto perché si intuisce che non porterà pioggia. In
lontananza, sulle pendici del Piglione si sentono i latrati di una
muta di cani impiegati in una battuta di caccia al cinghiale. Sentiamo
anche due spari fortunatamente a vuoto, facciamo ovviamente il tifo
per il cinghiale! Quando oramai siamo pronti per ripartire arriva
trafelato un bracco, molto lontano dalla battuta che era sull’altro
versante della vallata, ma in compenso affamato e assetato. Lo rifocilliamo
con avanzi di formaggio e lo lasciamo intento a controllare la disponibilità
di altri escursionisti che stanno giungendo.
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Proseguiamo lungo il sentiero segnalato
AT, superiamo una fonte e raggiungiamo un cancello: in queste
zone ci sono animali al pascolo. Senza oltrepassarlo svoltiamo
a destra imboccando il sentiero segnavia 112, tutto in
discesa, che conduce al bivio dove in mattinata avevamo svoltato
a sinistra. Lungo questo sentiero c’è anche una sorgente che non
asciuga mai neanche in piena estate, un particolare da ricordare
attentamente. La nebbia è tornata ad infittirsi ma il sentiero
è ampio e |
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agevole, a parte la scivolosità dei sassi: un vero tormento; il bosco
assume ora un aspetto fiabesco con i colori dell’autunno, le foglie
che cadono e la nebbia che vela gli alberi. Raggiunto l’ultimo ponticello,
del percorso, sul torrente Lombricese, siamo attratti dal grande spettacolo
delle gole rocciose incise dall’acqua con salti e marmitte. Qualche
foto e un “progetto folle” che ci balena per la testa: aspettare l’estate
e risalire il corso del torrente da Lombrici alle sorgenti. In poco
più di un’ora e mezzo siamo di nuovo in vista delle auto, sono le
quindici e quaranta. Una domenica iniziata con forti dubbi sulla giornata,
svoltasi invece in modo tranquillo, assistita da un clima clemente
e piacevole. Un’escursione che può essere limitata solo alla Grotta
all’Onda, che da sola merita una visita, ma anche protratta verso
il Matanna, imboccando il segnavia 105 alla Foce del Termine, o verso
il Prana imboccando il segnavia 104 dal cancello che abbiamo citato
prima.
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