L'escursione
Alle 6,30 siamo in 17 davanti alla sede, a Ripa, il cielo non prometteva
molto bene ma noi, forti delle notizie di prima mano dell'Aeronautica
Militare, ci siamo subito trasferiti con le auto in località " Casina
Rosa ", mt. 127, e di qui abbiamo subito imboccato il sentiero n° 140;
si è notato immediatamente che l'ambiente non era dei soliti a cui siamo
abituati, non brulle e scoscese montagne ma dolci colline in una macchia
mediterranea ricca di pini, corbezzoli querce e ginestre in fiore, che
man mano si saliva lasciavano il posto a ricchi castagneti. Una curata
mulattiera da cui si inizia a godere di uno splendido panorama in direzione
del mare e sulla sottostante piana della Versilia, inoltre il sentiero
sino a Cerreta S. Nicola è stato tutto pulito(in questo purtroppo è
stato d'aiuto indesiderato anche un incendio) e ben tenuto. Si supera
questo tratto pianeggiante tenendosi sul versante in vista del mare, caratterizzato
da una vegetazione di tipo mediterraneo e raggiunti dopo circa un'ora
i casolari di Cerreta S. Nicola (m. 574): piccolo borgo che sovrasta tutta
la piana della Versilia storica e dove è in corso un'opera di recupero
dellle vecchie abitazioni. Purtroppo ancora una volta comprendevamo l'ignoranza
umana, infatti un nutrito gruppo di ragazzi aveva montato le loro tende
nei bellissimi prati ricoprendoli di rifiuti di ogni genere; è proprio
vero che la mamma degli imbecilli è sempre incinta !!!! Da Cerreta San
Nicola ci inoltriamo nuovamente nel castagneto e continuando ancora per
il sentiero, in discreta salita anche ma essendo interamente nel bosco
non presenta difficoltà, giungiamo alle pendici del Folgorito mt.809.
Qui invece di salire la modesta vetta abbiamo deciso di percorrere la
strada forestale che ci ha condotto sino alla località il Pasquilio nelle
vicinanze del Rifugio Alleluia al Carchio. Un rifugio voluto dalla Parrochhia
di Montignoso facilmente raggiungibile anche dalla carrrozzabile del Pasquilio,
costruito a ridosso di una bellissima abetina è purtroppo attorniato
dai ravaneti delle cave di marmo.
 |
Ora
seguiamo la marmifera sino a giungere alle pendici del M. Carchio
(m. 1087) inciso profondamente dalle cave che ne hanno mutato l'aspetto
originario, e aggirandolo sul lato occidentale si segue sempre la
marmifera fino a giungere ad un piazzale dove vengono estratti degli
inerti. Oltrepassati dei detriti si prende una traccia di sentiero,
qui il gruppo si è diviso in due, chi ha scelto di percorrere un
sentiero basso(n.33), dove c'era l'ultima possibilità di
rifornimento d'acqua, e chi ha deciso di percorrere il crinale,
molto più panoramico. Dal crinale si notano praterie completamente
fiorite di giunchiglie, |
|
primule odorose, genziane ed
anemoni. Fino a questo punto l'itinerario è stato facile e ripercorribile
da tutti, ma da ora in poi il tracciato richiede qualche attenzione in
più: chi volesse ripercorrere le nostre orme deve ricordarsi che
effettivamente da ora in poi non è più possibile trovare
acqua, quindi attenzione! Va inoltre ricordato che il sentiero di cresta
è poco più che una traccia e che allunga il già pesante
percorso. Aggirata la breve parete Nord del M. Focoraccia, in discesa
ci si ricongiunge al sentiero n. 33, attraversando delle insellature
alcune delle quali molto interessanti. In questo tratto di crinale, durante
l'ultimo conflitto, si svolgeva un intenso movimento di civili, che percorrendo
tracce di sentiero provenienti dal versante massese, oltrepassavano la
linea gotica per portarsi al sicuro, nella zona liberata dagli alleati.
Il percorso si snoda in un continuo saliscendi dove in alcuni tratti abbiamo
dovuto dar sfoggio delle nostre capacità "alpinistiche". Il sentiero è
ora piuttosto esposto con alcuni tratti dov'è necessario prestare
molta attenzione; raggiunto il Passo del Pitone si deve discendere un
ripido tratto che richiede notevole perizia e una totale assenza di paura
del vuoto; in caso contrario è preferibile interrompere quì
l'escursione. Si prosegue per la nostra prima meta ( meta in quanto punto
di sosta ) evidenziata da uno scuro e particolare torrione, dove alcuni
ci vedevano un cane pastore, chi una foca; la cosa importante è che dopo
quattro ore di cammino lo abbiamo aggirato e subito dietro un fresco prato(il
passo della Greppia ) dove chi sa chi, vi ha costruito un bel tavolo con
relative panche e come promesso breve sosta per riprendere fiato, mangiare
qualcosa e ricompattare il gruppo. Rigorosamente, questa volta, abbiamo
tirato fuori della semplice frutta e che frutta! L'amico Rossano ha tirato
fuori una golosa macedonia di fragole e generosamente ne ha offerto una
cucchiaiata, un'altra, un'altra, un'altra….Hoops è terminata, si sa la
montagna affratella e tutto viene diviso!
Purtroppo il gruppo ritardava ad riunirsi e ben presto si capiva il perché,
due di noi presi da crampi non se la sentivano più di proseguire, a riprova
della difficoltosità del percorso che dopo il Passo del Pitone
presenta anche un lungo tratto in forte salita, perciò con la generosa
disponibilità di un altro componente venivano accompagnati al Passo della
Fioba ad circa un'ora di cammino. Beh superati questi momenti di defaiance
si riparte su per un ripido canale erboso contornato da ardite guglie
( Gli Uncini ), un tratto caratterizzato dalla forte pendenza e da alcuni
passaggi, in verità piuttosto facili su roccette; si giunge quindi
al Passo degli Uncini (m. 1380). Intanto dovevamo dar ragione ancora al
servizio meteo dell'Aeronautica che aveva previsto tempo in miglioramento,
infatti il cielo si andava rapidamente aprendo. Questo passo, così come
la cresta montuoso che lo precede e che lo segue, è così chiamato per
il crinale frastagliato formato da una serie di guglie dolomitiche ed
è il punto terminale della lunga cresta formata dai monti Folgorito, Carchio
e Focoraccia; dal passo ci possiamo affacciare sullo scosceso versante
marino che impressiona per l'estrema pendenza. Adesso la cresta dopo essersi
unita ad un contrafforte proveniente dal Passo del Vestito si fa più affilata,
quest'ultimo tratto lo abbiamo seguito tenendoci sul crinale (con qualche
attenzione: passi di I grado), in realtà si potrebbe seguire il sentiero
più basso n° 143 ma preferiamo seguire il filo di cresta con un
percorso più esposto ma, senza dubbio, molto più panoramico anche se richiede
estrema attenzione e adeguata preparazione. Alle ore 13,10 dopo esattamente
6,10 ore siamo giunti in vetta del M. Altissimo a quota 1589 mt. Una volta
in vetta siamo stai accolti da un festante Ivo che ci aveva preceduto
seguendo il sentiero, che in circa due ore dalle cave delle Cervaiole
porta in vetta; baci da parte delle signore e opportune strette di mano
tra noi uomini duri ci auguravamo una buona vetta. Altri escursionisti
vedendoci stanchi e accaldati ci domandavano da dove arrivavamo e sentendo
il racconto che gli facevamo rimanevano tra l'incredulo e lo stupefatto,
soprattutto nel fargli notare che eravamo a circa la metà della nostra
escursione. Ma ora basta con i discorsi: i primi si sono già sistemati
e cominciano i morsi a panini vari; anche noi, di pensiero meglio tanto
che poco, ci siamo caricati poco in previsione della fatica che dovevamo
affrontare, tutti tranne la Giuseppina che naturalmente non ha rinunciato
ai suoi dolcetti che dopo il pranzo ha offerto a tutti noi: una buonissima
pastiera napoletana oltre a biscotti e cioccolatini vari, peccato che
la Luciana questa volta non ha portato il suo famosissimo caffè, la prima
a rammaricarsene è stata lei. Con gli amici della sezione di Ripa si sta
molto bene, sono dei veri compagnoni, ma hanno un difetto: quello di non
apprezzare i piaceri della vita! Come si fa quando sei su una bellissima
montagna, e dopo aver mangiato con una fresca brezzetta che fa resuscitare
i morti, ad alzarsi subito e prepararsi per ripartire così su due piedi
senza il tempo di digerire? Per me rimarrà un arcano per sempre! Comunque
non si discute, ci si alza e subito prendiamo un malcapitato escursionista
pregandolo di scattarci alcune fotografie di gruppo con ben 8 macchine
fotografiche.
 |
Naturalmente
non ci siamo dimenticati il motivo perché siamo venuti quassù, infatti
abbiamo provveduto a raccogliere una pietra dalla vetta, che insieme
a quelle raccolte da tutte le altre Sezioni, |
andrà ad ornare l'Altare votivo
cha l'U.O:E.I. sta innalzando sulla sommità del Monte Tesoro in onore
e perenne ricordo di tutti i caduti della montagna; il monte che il 29
Giugno 1911 ha visto i nostri nonni fondare la gloriosa Associazione a
cui ci onoriamo di appartenere. Lasciata la vetta, ci siamo diretti lungo
la cresta sud-est, sempre sul sentiero CAI n.143, lungo un sentiero
che ogni tanto ci permette di affacciarci sugli impressionanti strapiombi
meridionali e che, superando alcune postazioni della Linea Gotica, ci
fa pervenire in una mezz'ora al Passo del Vaso Tondo (m.1380), così chiamato
perché dalla Versilia si presenta come una caratteristica svasatura. Da
qui, sempre seguendo il sentiero CAI n.143, scendiamo lungo un
percorso a gradini che ci porta ad incontrare una vecchia via di lizza
che conserva ancora interessanti manufatti, e attraverso una scalinata
ancora ben conservata ci portiamo sul versante orientale dove in breve
tempo raggiungiamo la mensa delle cave " le Cervaiole". Il percorso è
davvero bello e interessante ma presenta anche quì dei tratti assai
pericolosi come la discesa dal Passo del Vaso Tondo verso a cui si deve
prestare molta attenzione. Non dimentichiamoci che si deve scendere dentro
una cava lungo un sentiero di fortuna e neanche ben segnalato! Visitare
la Cava Cervaiole e' un'esperienza che non si dimentica, vi si estrae
il"bianco arabescato" un'imponente taglio verticale nella montagna di
un bianco accecante. A prima vista non si vedeva via d'uscita, tranne
un'alta passerella che si sporgeva dalla parete in perfetta verticale
su di una parete tagliata come se fosse stata di burro. Adesso è
doveroso rimarcare che le norme di sicurezza vietano l'accesso alla cava
e che l'attraversamento avviene a rischio e pericolo di chi lo affronta:
il sentiero ufficialmente si interrompe all'ingresso della cava stessa!
Naturalmente per completare il nostro anello si doveva passare da lì.
Dal piano alto della cava non sembrava particolarmente impressionante
ma appena l'abbiamo affrontata si notava che non era possibile passare
con gli zaini tra la scaletta e la passerella stessa, allora uno alla
volta abbiamo cominciato un passamano dello zaino con chi ci precedeva.
Camminare su quelle tavole dava una starna sensazione, vedere attraverso
le fessure il suolo che si allontanava sempre di più ed era impossibile
non pensare se quelle tavole sarebbero state sicure, per completare l'opera
Marcello da sotto voleva fare una foto di gruppo su quella passerella
che sicura è sicura ma….. Comunque alla fine siamo ripartiti e ancora
due rampe siamo arrivati alle cave ormai dismesse. Si scende verso ovest
in direzione di Azzano percorrendo una prima via di lizza dove ci sono
ancora visibili dei " Piri " ( ceppi di marmo che servivano per avvolgervi
attorno dei grossi canapi di corda per far scivolare grandi blocchi di
marmo sino a valle). Si entra poi in un bel bosco di castagni e faggi,
scendendo ancora si incontra ancora una vecchia fornace per la cottura
delle pietre per la calce e dopo poco si arriva alle prime case del bel
paese di Azzano. Nelle sue vicinanze vi si trova la chiesa dedicata a
San.Martino: è interamente in marmo ; si ritiene che sia stata costruita
intorno all'anno 1000 e ampliata nel secolo XIII . Tra il 1518 e il 1536
fu abbellita con un porticato ionico disegnato probabilmente da Michelangelo
( andato purtroppo distrutto durante la II guerra mondiale ), con una
cornice intorno al tetto e con un rosone chiamato " Occhio di Michelangelo"
, anch'esso attribuito al maestro fiorentino. All'interno della chiesa
si ammirano un bassorilievo ( sul pavimento nel centro della chiesa) un'acquasantiera
decorata con quattro figure che rappresentano le età della vita e un tempietto
tabernacolo. A fianco della Pieve si trovano altri edifici tra i quali
l'Oratorio della SS.Annunziata situato all'inizio della vecchia mulattiera,
un edificio costruito probabilmente nel 1700 ; il tetto mancante le mura
disadorne e il grande altare marmoreo conferiscono a questa chiesa un
aspetto suggestivo e misterioso. Dopo un'attimo di riposo sul bel sagrato
della chiesa siamo ridiscesi dalla mulattiera che da qui parte per scendere
al paese di Fabiano (m375) e continuando immersi in bellissimi castagneti
finalmente arriviamo a Rio Magno, una frazione di Seravezza, terminando
il giro dopo 12 ore. Ultima sosta ad una fresca fontana dove oltre che
a dissetarci ci ha visti partecipare ad un primo lavaggio per levarci,
almeno dal viso e dalle braccia polvere e sudore; poi tutti sulle auto
e dove dovevamo terminare l'escursione? Ma naturalmente davanti ad un
bellissimo e gustosissimo gelato.
Stupenda escursione che sicuramente rimarrà nella mente di tutti noi e
sicuramente oltre che a darci soddisfazioni escursionistiche ci ha anche
arricchito, portandoci a condividere la fatica e le difficoltà non indifferenti:
dalle difficoltà implicite del percorso, tratti in forte salita,
passaggi esposti ma soprattutto la lunghezza.
Questa giornata è finita ma naturalmente il nostro pensiero è già alla
nostra prossima avventura che non sarà niente male: l'ardita lizza della
monorotaia. |