Di
buon ora, alle ore 06,30, ci siamo ritrovati davanti alla sede e rispettando
più o meno l’orario abbiamo raggiunto il numero di 24 partecipanti.
Dopo i convenevoli, e gli ultimi chiarimenti sull’itinerario da effettuare,
si parte alla Volta di Campocatino in Garfagnana, bellissima
e amena località, che si raggiunge percorrendo la strada per Castelnuovo
di Garfagnana. Una volta raggiunta quest’ultima località si imbocca
la strada regionale 445 in direzione di Aulla, deviando, in località
Poggio, in direzione di Vagli. Superato il lago di Vagli si prosegue
per Vagli di Sopra; seguendo le indicazioni per Campocatino si svolta
a sinistra su una strada sterrata, ma in buono stato, che in pochi
minuti ci conduce ad un parcheggio (sulla sinistra in basso). Consigliamo
di non transitare con l'auto sulle strade lastricate del paese. Non
ci sono parole per descrive Campocatino al fresco del mattino nel silenzio
dei prati che circondano questo agglomerato di casette di pietra prima
dell'arrivo dei turisti.
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Qui
vi è la sede dell'Oasi di Campocatino; si estende sopra il paese
di Vagli, nel cuore delle Alpi Apuane all'interno di una specie
di conca a forma di catino dal quale prende il nome; si trova a
ridosso del monte Roccandagia e interessa circa 1100 ettari di superficie
dove sono comprese tutte le tipologie ambientali tipiche di questa
parte dell'Appennino. In questi luoghi si incontra un ambiente molto
interessante, soprattutto dal punto di vista vegetazionale, per
la presenza di alcune specie rare e diversi endemismi. |
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La
particolarità dell'Oasi sta proprio nell'ospitare associazioni vegetali
caratteristiche sia di ambienti mediterranei che di orizzonti tipicamente
alpini. Alle ore 08,30 scesi dalle macchine e indossati gli zaini, mai
troppo leggeri, si parte seguendo la comoda strada forestale,in direzione
dell'eremo di San Viano che tuttavia non abbiamo raggiunto.Chi avesse
voglia di allungare il percorso
di circa mezz’ora e volesse curiosare fra storia e leggende locali potrebbe
visitare la Cappella di S. Viano, aperta nella parete precipite del
Roccandagia (30 minuti sulla visibile mulattiera che si stacca all'estremità
sinistra dei prati). E' un santuario d'abri, cioè una grotta naturale
incastrata nella roccia che l'eremita adattava a ricovero con umili
opere di muratura per viverci nella rinuncia e mortificazione più totale.
Abbiamo imboccato invece il sentiero (segnavia 147), sentiero
che non è tenuto molto bene e che a causa di molte felci e piante cadute
sul tracciato non è ben visibile, (in questo primo tratto è tuttavia
possibile percorrere la strada di accesso all’Eremo) e continuato a
salire seguendo il tracciato della via Vandelli.
Nota
storica: la via Vandelli nasce per volere del Duca Francesco III
d'Este. Il ducato di Modena sentiva il bisogno di un accesso sicuro
al mare, all'interno dei propri confini. Per questo motivo l’abate
e matematico Domenico Vandelli fu incaricato di disegnarne il tracciato,
che corre in un ambiente impervio attraverso l'Appennino e poi attraverso
le Apuane, sulle pendici del monte Tambura. |
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Ci vollero più di dieci anni
di duro lavoro, fra il 1738 e il 1751 per completare quest'opera ardita:
una strada adatta per carri e carrozze che si inerpicava lungo i fianchi
scoscesi delle montagne fino ai 1634 metri del passo Tambura. La via,
impervia nel suo tracciato e bloccata dalla neve in inverno fu utilizzata
raramente. I banditi erano una minaccia per i viandanti che la percorrevano
e presto cadde in stato di degrado. Riprendiamo l’escursione: fin’ora
non ci sono grandi problemi, tutti camminiamo bene salvo ogni tanto
attendere qualche ritardatario per ricompattare il gruppo. Dopo aver
“ scalato” facili roccette con l’aiuto di un cavo siamo giunti a una
precaria via di cava che abbiamo seguito per un breve tratto fino ad
incontrare, a destra, il sentiero (segnavia 35). Abbiamo continuato
ancora su una faticosa salita, ma per fortuna in gran parte in ombra,
fino a giungere in vista del Passo Tambura; sulla sinistra si nota
ora una sorgente che è stata intubata per rifornire un abbeveratoio,
dopo questa salita e la grande sudata fatta quest’acqua è squisita.
Raggiungiamo finalmente il Passo Tambura (m. 1620) dopo aver superato
un dislivello di 620 metri (2 ore circa). Appena giunti sul passo e
voltando lo sguardo verso ovest si rimane letteralmente a bocca aperta
e molte sono state le espressioni di stupore nel vedere tutta la costa
compresa dal golfo della Spezia a Livorno e chi sa, forse anche più
a sud; sotto di noi si nota benissimo quel serpentone che è la Via Vandelli
e più giù le città di Massa, di Carrara e tutte le altre sino a Spezia.
Se fossimo stati fortunati avremmo allungato lo sguardo sino alle Alpi
Marittime e l’isole dell’Arcipelago Toscano ma purtroppo sul mare persisteva
una certa foschia. Girandoci verso est notiamo tutto l’Appennino Tosco
Emiliano con le cime più alte come il Cimone e il Cusna.Dopo una breve
sosta per ricompattare il gruppo, concederci un veloce spuntino e scattare
foto obbligatorie visto il panorama, siamo ripartiti seguendo il sentiero
(segnavia 148) che percorre le creste sud e nord-ovest del Monte Tambura.
Il sentiero si presenta subito impegnativo su roccia, piuttosto esposto
ed ora interamente assolato (non presenta particolari problemi bisogna
tuttavia affrontarlo con cautela perché, anche se non corre praticamente
mai sull’orlo di precipizi, è pur sempre un sentiero di cresta); il
dislivello da superare è di soli 275 metri ma la salita non concede
mai un solo momento di tregua.
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Infatti
qui si sono rivelati i primi problemi per chi non ha un allenamento
per effettuare queste lunghe traversate e qualche attacco di crampi
comincia a farsi vivo, grazie ad un amico fisioterapista e alcune
bustine di integratore dopo circa 40 minuti, chi prima e chi dopo,
siamo arrivati in vetta. Dalla vetta lo spettacolo
è ancora più immenso permettendo una vista a 360° dalla Garfagnana
alle 5 Terre e come già detto, se la giornata fosse stata limpida,
avremmo potuto scorgere le maggiori cime dell'arco alpino. |
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Vediamo le cime delle Apuane
settentrionali, in particolare il Pisanino risplendere al riverbero
del sole che in contrasto col cielo terso non fa altro che accentuarne
la bellezza. D'altro canto stiamo parlando della cima più alta delle
Apuane….. Ma anche la Roccandagia, il Cavallo e il Pizzo Maggiore danno
il meglio di se. Anche qui molte fotografie, strette di mano e baci con auguri
di buona vetta; ormai si sono fatte le ore 12,00 e decidiamo di pranzare.
Dal mare si alzano delle nuvole minacciose che ben presto ricoprono
tutte le cime, compresa la nostra; in breve siamo completamente avvolti
nella nebbia. Allora si raccolgono i rifiuti, ricordatevi che
il vero amante della montagna sa benissimo che i rifiuti vanno riportati
a valle e che l'unica traccia del nostro passaggio devono essere i passi
impressi nella terreno, si indossano gli zaini e via, si scende verso
il passo della Focolaccia (m.1642). La discesa
è impegnativa, richiede perizia e attenzione procedendo sulla cresta
con tratti piuttosto ripidi ed esposti, in circa 50 minuti giungiamo
nei pressi delle cave del Passo della Focolaccia che purtroppo con i
detriti dell’escavazione del marmo hanno interrotto il sentiero. Perciò
adesso è obbligatorio seguire un sentiero segnato di fresco, sulla destra,
che si collega con il sentiero (segnavia 177) del Passo della
Focolaccia.
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Adesso
siamo nella Carcaraia: un pendio modellato da antichi ghiacciai,
una zona carsica crivellata di doline, fratture e abissi,
di rilevante importanza tra questi l'Abisso Roversi, la grotta
più profonda d'Italia. Il percorso è agevole e ci consente di ammirare,
aggirandola, la parete nord del Monte Roccandagia. Continuiamo ma
la lunga marcia si fa sentire nelle gambe di alcuni e i crampi arrivano
ad un nostro compagno ma grazie all’opportuna presenza del fisioterapista
è ben presto ripartito; purtroppo ( per lui ) gli attacchi sono
stati più di uno e la nostra marcia è stata rallentata, per noi
comunque è stata occasione di soffermarci meglio ad ammirare il
paesaggio. Prima del Passo della Tombaccia si arriva ad una piccola
salita su roccette che ci obbliga a salire usando meni e piedi, |
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ora siamo rientrati nel
bosco e raggiunto il P. della Tombaccia a mt. 1350. Proseguiamo tra
i faggi, il sentiero è piacevole e passa proprio alla base della verticale
parete est del Monte Roccandagia. In breve usciamo dal bosco e si cominciano
ad intravedere le prime case di Campocatino, il sentiero scende costantemente
nei pascoli che circondano la valle e dopo circa tre ore dalla vetta
della Tambura si raggiunge il paese e la fresca, e agognata, fontana
dove ci siamo sciacquati lavandoci il sudore e la polvere di dosso,
e naturalmente rinfrescato i piedi che dopo circa 9 ore ( 6,30 di effettivo
cammino ) erano alquanto doloranti.Alle ore 17,30 si riparte per …… per dove? Ma naturalmente
per Castelnuovo di Garfagnana dove ci attendeva un mega gelato coronamento
della nostra bellissima giornata.
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