U.O.E.I.
UNIONE OPERAIA ESCURSIONISTI ITALIANI
Sezione "Antonio Tessa" - RIPA DI VERSILIA
 

Monte Tambura (m.1890)
6 Luglio 2003
Percorso: anello da Campocatino (1000 m), Passo Tambura (m. 1620),
Monte Tambura (m.1890), Passo Tombaccia (m.1350), Campocatino
Segnaletica: biancorossa CAI
segnavia 147, 35, 177
Dislivello: 890 m. Tempo di percorrenza :6,30 ore
Classificazione: EE solo per escursionisti esperti. Punti sosta: Rifugio Cai "Aronte" al Passo della Focolaccia (attenzione!! non sempre è aperto)
Acqua: nel paese di Campocatino e in prossimità del Passo Tambura

Periodo consigliato: dalla primavera inoltrata a tutto autunno

Di buon ora, alle ore 06,30, ci siamo ritrovati davanti alla sede e rispettando più o meno l’orario abbiamo raggiunto il numero di 24 partecipanti. Dopo i convenevoli, e gli ultimi chiarimenti sull’itinerario da effettuare, si parte alla Volta di Campocatino in Garfagnana, bellissima e amena località, che si raggiunge percorrendo la strada per Castelnuovo di Garfagnana. Una volta raggiunta quest’ultima località si imbocca la strada regionale 445 in direzione di Aulla, deviando, in località Poggio, in direzione di Vagli. Superato il lago di Vagli si prosegue per Vagli di Sopra; seguendo le indicazioni per Campocatino si svolta a sinistra su  una strada sterrata, ma in buono stato, che in pochi minuti ci conduce ad un parcheggio (sulla sinistra in basso). Consigliamo di non transitare con l'auto sulle strade lastricate del paese. Non ci sono parole per descrive Campocatino al fresco del mattino nel silenzio dei prati che circondano questo agglomerato di casette di pietra prima dell'arrivo dei turisti.

Qui vi è la sede dell'Oasi di Campocatino; si estende sopra il paese di Vagli, nel cuore delle Alpi Apuane all'interno di una specie di conca a forma di catino dal quale prende il nome; si trova a ridosso del monte Roccandagia e interessa circa 1100 ettari di superficie dove sono comprese tutte le tipologie ambientali tipiche di questa parte dell'Appennino. In questi luoghi si incontra un ambiente molto interessante, soprattutto dal punto di vista vegetazionale, per la presenza di alcune specie rare e diversi endemismi.

La particolarità dell'Oasi sta proprio nell'ospitare associazioni vegetali caratteristiche sia di ambienti mediterranei che di orizzonti tipicamente alpini. Alle ore 08,30 scesi dalle macchine e indossati gli zaini, mai troppo leggeri, si parte seguendo la comoda strada forestale,in direzione dell'eremo di San Viano che tuttavia non abbiamo raggiunto.Chi avesse voglia di allungare il percorso di circa mezz’ora e volesse curiosare fra storia e leggende locali potrebbe  visitare la Cappella di S. Viano, aperta nella parete precipite del Roccandagia (30 minuti sulla visibile mulattiera che si stacca all'estremità sinistra dei prati). E' un santuario d'abri, cioè una grotta naturale incastrata nella roccia che l'eremita  adattava a ricovero con umili opere di muratura per viverci nella rinuncia e mortificazione più totale. Abbiamo imboccato invece il sentiero (segnavia 147), sentiero che non è tenuto molto bene e che a causa di molte felci e piante cadute sul tracciato non è ben visibile, (in questo primo tratto è tuttavia possibile percorrere la strada di accesso all’Eremo) e continuato a salire seguendo il tracciato della via Vandelli.

Nota storica: la via Vandelli nasce per volere del Duca Francesco III d'Este. Il ducato di Modena sentiva il bisogno di un accesso sicuro al mare, all'interno dei propri confini. Per questo motivo l’abate e matematico Domenico Vandelli fu incaricato di disegnarne il tracciato, che corre in un ambiente impervio attraverso l'Appennino e poi attraverso le Apuane, sulle pendici del monte Tambura.

Ci vollero più di dieci anni di duro lavoro, fra il 1738 e il 1751 per completare quest'opera ardita: una strada adatta per carri e carrozze che si inerpicava lungo i fianchi scoscesi delle montagne fino ai 1634 metri del passo Tambura. La via, impervia nel suo tracciato e bloccata dalla neve in inverno fu utilizzata raramente. I banditi erano una minaccia per i viandanti che la percorrevano e presto cadde in stato di degrado. Riprendiamo l’escursione: fin’ora non ci sono grandi problemi, tutti camminiamo bene salvo ogni tanto attendere qualche ritardatario per ricompattare il gruppo. Dopo aver “ scalato” facili roccette  con l’aiuto di un cavo siamo giunti  a una precaria via di cava che abbiamo seguito per un breve tratto fino ad incontrare, a destra, il sentiero (segnavia 35). Abbiamo continuato ancora su una  faticosa salita, ma per fortuna in  gran parte in ombra, fino a giungere  in vista del Passo Tambura; sulla sinistra si nota ora una sorgente che è stata intubata per rifornire un abbeveratoio, dopo questa salita e la grande sudata fatta quest’acqua è squisita.  Raggiungiamo finalmente il Passo Tambura (m. 1620) dopo aver superato un dislivello di 620 metri (2 ore circa). Appena giunti sul passo e voltando lo sguardo verso ovest si rimane letteralmente a bocca aperta e molte sono state le espressioni di stupore nel vedere tutta la costa compresa dal golfo della Spezia a Livorno e chi sa, forse anche più a sud; sotto di noi si nota benissimo quel serpentone che è la Via Vandelli  e più giù le città di Massa, di Carrara e tutte le altre sino a Spezia. Se fossimo stati fortunati avremmo allungato lo sguardo sino alle Alpi Marittime e l’isole dell’Arcipelago Toscano ma purtroppo sul mare persisteva una certa foschia. Girandoci verso est notiamo tutto l’Appennino Tosco Emiliano con le cime più alte come il Cimone e il Cusna.Dopo una breve sosta per ricompattare il gruppo, concederci un veloce spuntino e scattare foto  obbligatorie visto il panorama, siamo ripartiti seguendo il sentiero (segnavia 148) che percorre le creste sud e nord-ovest del Monte Tambura. Il sentiero si presenta subito impegnativo su roccia, piuttosto esposto ed ora interamente assolato (non presenta particolari problemi bisogna tuttavia affrontarlo con cautela perché, anche se non corre praticamente mai sull’orlo di precipizi, è pur sempre un sentiero di cresta); il dislivello da superare è di soli 275 metri ma la salita non concede mai un solo momento di tregua.

Infatti qui si sono rivelati i primi problemi per chi non ha un allenamento per effettuare queste lunghe traversate e qualche attacco di crampi comincia a farsi vivo, grazie ad un amico fisioterapista e alcune bustine di integratore dopo circa 40 minuti, chi prima e chi dopo, siamo arrivati in vetta. Dalla vetta lo spettacolo è ancora più immenso permettendo una vista a 360° dalla Garfagnana alle 5 Terre e come già detto, se la giornata fosse stata limpida, avremmo potuto scorgere le maggiori cime dell'arco alpino.

Vediamo le cime delle Apuane settentrionali, in particolare il Pisanino risplendere al riverbero del sole che in contrasto col cielo terso non fa altro che accentuarne la bellezza. D'altro canto stiamo parlando della cima più alta delle Apuane….. Ma anche la Roccandagia, il Cavallo e il Pizzo Maggiore danno il meglio di se. Anche qui molte fotografie, strette di mano e baci con auguri di buona vetta; ormai si sono fatte le ore 12,00 e decidiamo di pranzare. Dal mare si alzano delle nuvole minacciose che ben presto ricoprono tutte le cime, compresa la nostra; in breve siamo completamente avvolti nella nebbia. Allora si raccolgono i rifiuti, ricordatevi che il vero amante della montagna sa benissimo che i rifiuti vanno riportati a valle e che l'unica traccia del nostro passaggio devono essere i passi impressi nella terreno, si indossano gli zaini e via, si scende verso il passo della Focolaccia (m.1642). La discesa è impegnativa, richiede perizia e attenzione procedendo sulla cresta con tratti piuttosto ripidi ed esposti, in circa 50 minuti giungiamo nei pressi delle cave del Passo della Focolaccia che purtroppo con i detriti dell’escavazione del marmo hanno interrotto il sentiero. Perciò adesso è obbligatorio seguire un sentiero segnato di fresco, sulla destra, che si collega con il sentiero (segnavia 177) del Passo della Focolaccia.

Adesso siamo nella Carcaraia: un pendio modellato da antichi ghiacciai, una zona carsica crivellata di doline, fratture e abissi, di rilevante importanza tra questi  l'Abisso Roversi, la grotta più profonda d'Italia. Il percorso è agevole e ci consente di ammirare, aggirandola, la parete nord del Monte Roccandagia. Continuiamo ma la lunga marcia si fa sentire nelle gambe di alcuni e i crampi arrivano ad un nostro compagno ma grazie all’opportuna presenza del fisioterapista è ben presto ripartito; purtroppo ( per lui ) gli attacchi sono stati più di uno e la nostra marcia è stata rallentata, per noi comunque è stata occasione di soffermarci meglio ad ammirare il paesaggio. Prima del Passo della Tombaccia si arriva ad una piccola salita su roccette che ci obbliga a salire usando meni e piedi,

ora siamo rientrati nel bosco e raggiunto il P. della Tombaccia a mt. 1350. Proseguiamo tra i faggi, il sentiero è piacevole e passa proprio alla base della verticale parete est del Monte Roccandagia. In breve usciamo dal bosco e si cominciano ad intravedere le prime case di Campocatino, il sentiero scende costantemente nei pascoli che circondano la valle e dopo circa tre ore dalla vetta della Tambura si raggiunge il paese e la fresca, e agognata, fontana dove ci siamo sciacquati lavandoci il sudore e la polvere di dosso, e naturalmente rinfrescato i piedi che dopo circa 9 ore ( 6,30 di effettivo cammino ) erano alquanto doloranti.Alle ore 17,30 si riparte per …… per dove? Ma naturalmente per Castelnuovo di Garfagnana dove ci attendeva un mega gelato coronamento della nostra bellissima giornata.

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