Di nuovo sulle Apuane, questa
volta con un'escursione non troppo lunga ma decisamente impegnativa per
le difficoltà presentate dall'affilata cresta del Monte Roccandagia (m.
1700) formata da due costoni di origine morenica che si prospetta con
un'alta e bella parete sulla verde conca di Campocatino.
L'escursione ha inizio dal paese di Campocatino noto per il film
che l'attore e regista Pieraccioni vi ha girato e, soprattutto, per l'omonima
oasi Lipu e per il vicino Eremo di San
Viano. Il paese è raggiungibile da Castelnuovo Garfagnana: si deve attraversare
il paese e proseguire seguendo le indicazioni per Vagli di Sotto e per
l'omonimo lago
famoso per il paese sommerso. Da qui si seguono le indicazioni per
Vagli di Sopra e successivamente per Campocatino che dista pochi chilometri
da Vagli.
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A Campocatino è conveniente
lasciare le auto nel parcheggio all'inizio del paese; il sentiero
inizia a sinistra dell'ingresso dell'oasi LIPU. All'arrivo abbiamo
una graditissima, quanto inaspettata, sorpresa: ad attenderci ci
sono quattro nuovi amici di Livorno che ci hanno conosciuti visitando
il nostro sito internet. |
Facciamo le presentazioni, a dire il vero con un certo
imbarazzo da parte nostra perché mettiamo anima e corpo nell'organizzazione
delle iniziative e nel presentarle in rete, ma questa è una sorpresa davvero
inattesa che ci gratifica oltremodo. Strada facendo avremo poi modo di
conoscerci meglio e di sapere che hanno già ripetuto alcune nostre escursioni,
davvero non poteva esserci inizio migliore! Calzati gli scarponi e fatta
scorta di acqua presso l'unica fonte che incontreremo durante tutto il
tragitto (è ubicata proprio all'inizio del sentiero) ci incamminiamo più
allegri che mai sul sentiero (segnavia 177) che inizia alla destra
della barriera d'ingresso dell'oasi, attraversa il borgo e si inoltra
in leggera salita nei prati. Sono le 8,40, fa ancora piacevolmente fresco
ma il sole inizia gia a farsi sentire; non facciamo come l'ultima volta
in Appennino: oggi mettiamo subito la crema solare! Anche oggi siamo un
bel gruppo: 22 partecipanti. Iniziamo la salita con un ritmo molto tranquillo,
il percorso non è lungo ma il dislivello (700 metri) è piuttosto sensibile,
non vogliamo stancare nessuno. La presenza di alcuni cacciatori ci rammenta
che oggi è la giornata di apertura della stagione venatoria, speriamo
che non ci impallinino. L'ascesa verso il Passo della Tombaccia (m. 1365),
nonostante alcune ripide salite, è agevole; ne approfittiamo per conoscere
meglio i nuovi amici che si dimostrano subito molto simpatici e ottimi
camminatori. Attraversiamo un bosco di faggi che mostra gia i segni dell'incipiente
autunno, le foglie sono gia quasi tutte cadute a dimostrazione che la
siccità è stata forte. Incontriamo anche un altro cacciatore , sembra
un "marine" che con fucile automatico e ricetrasmittente diriga un'azione
di guerra. In effetti visti i mezzi impiegati lo sembra proprio: una torma
di cani, cacciatori in gruppo coordinati via radio e in mezzo una povera
lepre. E insistono a definire la caccia uno sport, vergogna! Vorremmo
fermarci per ricompattare il gruppo ma la situazione ci consiglia di proseguire
fino al passo dove saremo fuori tiro. Nelle giornate di apertura della
caccia è sempre bene indugiare poco nel bosco e vestirsi comunque di abiti
ben visibili.
Dal passo Tombaccia (m.1365), dove arriviamo alle 10,15
(1,35 ore da Campocatino), in poi il sentiero è più impegnativo, in particolare
alcuni tratti su roccia che richiedono molta attenzione e sono sicuramente
da sconsigliare a inesperti. Ci troviamo ora in un anfiteatro di origine
glaciale di rara bellezza: alla nostra sinistra le levigate e ripide pareti
della Roccandagia, di fronte la Carcarraia punteggiata di innumerevoli
circhi glaciali, alla destra il Monte Cavallo e il Pisanino. Impossibile
descrivere le sensazioni che si provano di fronte a tanta bellezza. Facendo
molta attenzione alle insidie del sentiero proseguiamo fino alla base
di un canalone dove, segnalato da poco visibili ometti di pietra, inizia
la traccia che conduce alla cresta della Roccandagia. Da ora in poi il
sentiero è davvero impegnativo, i meno esperti devono fermarsi. D'altronde
le alternative non mancano: proseguendo sul sentiero si raggiunge la Focolaccia
e da li il Monte
Sumbra o gli Zucchi
di Cardeto.
Ci separiamo, un gruppo prosegue verso la Focolaccia mentre
noi iniziamo la faticosa ascesa su rocce e ammassi di pietre spaccate
dai ghiacci e rotolate a valle nei secoli, il tutto ricoperto da paleo
che nasconde le frequenti insidie. Bisogna prestare sempre molta attenzione
ai poco visibili ometti, spesso formati solo da poche pietre, e comunque
pensare sempre al percorso più agevole perché la traccia non è quasi mai
visibile. Una volta in cresta si ha una visione spettacolare dell'intera
valle dell' Edron
e del lago di Vagli ma anche
dell'affilata cresta che dovrà essere percorsa per raggiungere la vetta.
Ci fermiamo alcuni minuti per rifocillarci dato che la ripida salita ha
fatto venire il fiatone a molti ma anche per riflettere sull'opportunità
o meno di proseguire. La cresta è molto affilata, non più larga di mezzo
metro con le pareti che cadono ripide verso il fondovalle. Qui è bene
interrogarsi veramente sulle proprie attitudine e condizioni fisiche,
se non si è del tutto sicuri è meglio rinunciare. In effetti alcuni non
se la sentono e restano ad attenderci mentre noi, cautamente, iniziamo
ad avanzare.
Dopo un ardito passaggio in piano inizia la salita verso
una prima quota, che peraltro rappresenta la massima altitudine della
montagna. Dalla cima il percorso è ancora lungo ed impegnativo ma l'impatto
emozionale che si ha per giungere è tale che se lo si supera il più è
fatto. Notiamo con piacevole sorpresa che tutti i partecipanti salgono
senza particolari problemi superando i punti più difficoltosi scendendo
leggermente dalla linea di cresta reggendosi con le mani alle rocce sovrastanti.
In realtà sarebbe possibile progredire per lunghi tratti camminando direttamente
in cresta ma non è certamente un atteggiamento da consigliare, è sempre
sciocco rischiare inutilmente; nei tratti più esposti si deve scendere
e proseguire camminando lateralmente reggendosi alle rocce sovrastanti.
Alle 11,50 (3,10 ore da Campocatino) siamo sull'antecima che peraltro
risulta essere leggermente più alta della vetta vera e propria. Proseguiamo
intenzionati a raggiungere la vetta e poi la Penna di Campocatino, bastione
roccioso a Picco sulla omonima vallata, ma abbiamo una brutta sorpresa:
una frana ha distrutto un lungo tratto di via su roccia che porta in vetta.
Andiamo a verificare ma il passaggio è impraticabile per un gruppo, si
dovrebbe arrampicare un tratto molto esposto, impensabile. A malincuore
rinunciamo a proseguire, ci fermiamo però ad ammirare il panorama e a
scambiarci impressioni. Sono positive perché anche se non possiamo completare
l'itinerario il tratto effettuato è suggestivo e per alcuni rappresenta
addirittura un traguardo raggiunto. Ci attende ora la traversata di ritorno,
oramai siamo abituati alle ripidissime pareti, tutto ci appare più facile.
E' proprio in questi momenti che non bisogna allentare l'attenzione, la
troppa sicurezza potrebbe tradire.
Ritrovati gli amici che ci attendevano all'inizio della
cresta ci apprestiamo a scendere. Non è affato facile, le rocce, spesso
nascoste, sono viscide e il paleo, che comunque non garantisce mai tenuta,
nasconde le buche. Seguendo sempre la traccia con estrema cautela, con
qualche innocuo scivolone (uno solo della Giusy su prunache!!!!!) arriviamo
in un'ampia conca dove ci fermiamo per il pranzo, sono le 13 (4,20 ore
dalla partenza). La solita, tradizionale ed immancabile, nuvola uoeina
è lo stimolo per ripartire; abbiamo comunque poltrito per un'ora abbondante,
caso insolito per forzati (?) della camminata come noi. L'ultimo tratto
di discesa è, se possibile, ancora più impegnativo: la traccia è pressoché
inesistente e particolarmente insidiosa. Attenzione alle rocce lisce,
sono ricoperte di muschio scivoloso e le buche nascoste dal paleo sono
numerose, bisogna scendere con estrema cautela fino a ritrovare il sentiero.
Adesso possiamo ammirare con più attenzione l'ambiente che ci circonda,
dalle residue fioriture all'autunno oramai del tutto evidente nel bosco
coi faggi quasi completamente spogli e uno spesso strato di coloratissime
foglie sul terreno. Il ritorno a Campocatino (ore 15,35)ci offre un altro
squallido quadro di caccia: una decina di fucilieri in frenetico movimento
ai bordi dell'oasi sulle orme di qualche piccola preda; ma quantomeno
due guardie controllano che non vengano commesse irregolarità. Il gruppo
che ha optato per la Tambura non è ancora arrivato, c'è tempo per scambiarci
impressioni e conversare con gli amici di Livorno che promettono di essere
ancora dei nostri. Le loro impressioni sono per noi uno stimolo importante
ad impegnarci sempre di più.
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