U.O.E.I.
UNIONE OPERAIA ESCURSIONISTI ITALIANI
Sezione "Antonio Tessa" - RIPA DI VERSILIA
 

MONTE ROCCANDAGIA

Percorso: da Campocatino Segnaletica: biancorossa CAI segnavia 177
Dislivello: m 700 Tempo di percorrenza: 6 ore circa
Classificazione: EE Punti sosta: nessuno
Acqua: solo nel paese di Campocatino Periodo consigliato: dalla primavera all'autunno in assenza di neve e/o ghiaccio
Di nuovo sulle Apuane, questa volta con un'escursione non troppo lunga ma decisamente impegnativa per le difficoltà presentate dall'affilata cresta del Monte Roccandagia (m. 1700) formata da due costoni di origine morenica che si prospetta con un'alta e bella parete sulla verde conca di Campocatino. L'escursione ha inizio dal paese di Campocatino noto per il film che l'attore e regista Pieraccioni vi ha girato e, soprattutto, per l'omonima oasi Lipu e per il vicino Eremo di San Viano. Il paese è raggiungibile da Castelnuovo Garfagnana: si deve attraversare il paese e proseguire seguendo le indicazioni per Vagli di Sotto e per l'omonimo lago famoso per il paese sommerso. Da qui si seguono le indicazioni per Vagli di Sopra e successivamente per Campocatino che dista pochi chilometri da Vagli.
A Campocatino è conveniente lasciare le auto nel parcheggio all'inizio del paese; il sentiero inizia a sinistra dell'ingresso dell'oasi LIPU. All'arrivo abbiamo una graditissima, quanto inaspettata, sorpresa: ad attenderci ci sono quattro nuovi amici di Livorno che ci hanno conosciuti visitando il nostro sito internet.
Facciamo le presentazioni, a dire il vero con un certo imbarazzo da parte nostra perché mettiamo anima e corpo nell'organizzazione delle iniziative e nel presentarle in rete, ma questa è una sorpresa davvero inattesa che ci gratifica oltremodo. Strada facendo avremo poi modo di conoscerci meglio e di sapere che hanno già ripetuto alcune nostre escursioni, davvero non poteva esserci inizio migliore! Calzati gli scarponi e fatta scorta di acqua presso l'unica fonte che incontreremo durante tutto il tragitto (è ubicata proprio all'inizio del sentiero) ci incamminiamo più allegri che mai sul sentiero (segnavia 177) che inizia alla destra della barriera d'ingresso dell'oasi, attraversa il borgo e si inoltra in leggera salita nei prati. Sono le 8,40, fa ancora piacevolmente fresco ma il sole inizia gia a farsi sentire; non facciamo come l'ultima volta in Appennino: oggi mettiamo subito la crema solare! Anche oggi siamo un bel gruppo: 22 partecipanti. Iniziamo la salita con un ritmo molto tranquillo, il percorso non è lungo ma il dislivello (700 metri) è piuttosto sensibile, non vogliamo stancare nessuno. La presenza di alcuni cacciatori ci rammenta che oggi è la giornata di apertura della stagione venatoria, speriamo che non ci impallinino. L'ascesa verso il Passo della Tombaccia (m. 1365), nonostante alcune ripide salite, è agevole; ne approfittiamo per conoscere meglio i nuovi amici che si dimostrano subito molto simpatici e ottimi camminatori. Attraversiamo un bosco di faggi che mostra gia i segni dell'incipiente autunno, le foglie sono gia quasi tutte cadute a dimostrazione che la siccità è stata forte. Incontriamo anche un altro cacciatore , sembra un "marine" che con fucile automatico e ricetrasmittente diriga un'azione di guerra. In effetti visti i mezzi impiegati lo sembra proprio: una torma di cani, cacciatori in gruppo coordinati via radio e in mezzo una povera lepre. E insistono a definire la caccia uno sport, vergogna! Vorremmo fermarci per ricompattare il gruppo ma la situazione ci consiglia di proseguire fino al passo dove saremo fuori tiro. Nelle giornate di apertura della caccia è sempre bene indugiare poco nel bosco e vestirsi comunque di abiti ben visibili.
Dal passo Tombaccia (m.1365), dove arriviamo alle 10,15 (1,35 ore da Campocatino), in poi il sentiero è più impegnativo, in particolare alcuni tratti su roccia che richiedono molta attenzione e sono sicuramente da sconsigliare a inesperti. Ci troviamo ora in un anfiteatro di origine glaciale di rara bellezza: alla nostra sinistra le levigate e ripide pareti della Roccandagia, di fronte la Carcarraia punteggiata di innumerevoli circhi glaciali, alla destra il Monte Cavallo e il Pisanino. Impossibile descrivere le sensazioni che si provano di fronte a tanta bellezza. Facendo molta attenzione alle insidie del sentiero proseguiamo fino alla base di un canalone dove, segnalato da poco visibili ometti di pietra, inizia la traccia che conduce alla cresta della Roccandagia. Da ora in poi il sentiero è davvero impegnativo, i meno esperti devono fermarsi. D'altronde le alternative non mancano: proseguendo sul sentiero si raggiunge la Focolaccia e da li il Monte Sumbra o gli Zucchi di Cardeto.
Ci separiamo, un gruppo prosegue verso la Focolaccia mentre noi iniziamo la faticosa ascesa su rocce e ammassi di pietre spaccate dai ghiacci e rotolate a valle nei secoli, il tutto ricoperto da paleo che nasconde le frequenti insidie. Bisogna prestare sempre molta attenzione ai poco visibili ometti, spesso formati solo da poche pietre, e comunque pensare sempre al percorso più agevole perché la traccia non è quasi mai visibile. Una volta in cresta si ha una visione spettacolare dell'intera valle dell' Edron e del lago di Vagli ma anche dell'affilata cresta che dovrà essere percorsa per raggiungere la vetta. Ci fermiamo alcuni minuti per rifocillarci dato che la ripida salita ha fatto venire il fiatone a molti ma anche per riflettere sull'opportunità o meno di proseguire. La cresta è molto affilata, non più larga di mezzo metro con le pareti che cadono ripide verso il fondovalle. Qui è bene interrogarsi veramente sulle proprie attitudine e condizioni fisiche, se non si è del tutto sicuri è meglio rinunciare. In effetti alcuni non se la sentono e restano ad attenderci mentre noi, cautamente, iniziamo ad avanzare.
Dopo un ardito passaggio in piano inizia la salita verso una prima quota, che peraltro rappresenta la massima altitudine della montagna. Dalla cima il percorso è ancora lungo ed impegnativo ma l'impatto emozionale che si ha per giungere è tale che se lo si supera il più è fatto. Notiamo con piacevole sorpresa che tutti i partecipanti salgono senza particolari problemi superando i punti più difficoltosi scendendo leggermente dalla linea di cresta reggendosi con le mani alle rocce sovrastanti. In realtà sarebbe possibile progredire per lunghi tratti camminando direttamente in cresta ma non è certamente un atteggiamento da consigliare, è sempre sciocco rischiare inutilmente; nei tratti più esposti si deve scendere e proseguire camminando lateralmente reggendosi alle rocce sovrastanti. Alle 11,50 (3,10 ore da Campocatino) siamo sull'antecima che peraltro risulta essere leggermente più alta della vetta vera e propria. Proseguiamo intenzionati a raggiungere la vetta e poi la Penna di Campocatino, bastione roccioso a Picco sulla omonima vallata, ma abbiamo una brutta sorpresa: una frana ha distrutto un lungo tratto di via su roccia che porta in vetta. Andiamo a verificare ma il passaggio è impraticabile per un gruppo, si dovrebbe arrampicare un tratto molto esposto, impensabile. A malincuore rinunciamo a proseguire, ci fermiamo però ad ammirare il panorama e a scambiarci impressioni. Sono positive perché anche se non possiamo completare l'itinerario il tratto effettuato è suggestivo e per alcuni rappresenta addirittura un traguardo raggiunto. Ci attende ora la traversata di ritorno, oramai siamo abituati alle ripidissime pareti, tutto ci appare più facile. E' proprio in questi momenti che non bisogna allentare l'attenzione, la troppa sicurezza potrebbe tradire.
Ritrovati gli amici che ci attendevano all'inizio della cresta ci apprestiamo a scendere. Non è affato facile, le rocce, spesso nascoste, sono viscide e il paleo, che comunque non garantisce mai tenuta, nasconde le buche. Seguendo sempre la traccia con estrema cautela, con qualche innocuo scivolone (uno solo della Giusy su prunache!!!!!) arriviamo in un'ampia conca dove ci fermiamo per il pranzo, sono le 13 (4,20 ore dalla partenza). La solita, tradizionale ed immancabile, nuvola uoeina è lo stimolo per ripartire; abbiamo comunque poltrito per un'ora abbondante, caso insolito per forzati (?) della camminata come noi. L'ultimo tratto di discesa è, se possibile, ancora più impegnativo: la traccia è pressoché inesistente e particolarmente insidiosa. Attenzione alle rocce lisce, sono ricoperte di muschio scivoloso e le buche nascoste dal paleo sono numerose, bisogna scendere con estrema cautela fino a ritrovare il sentiero. Adesso possiamo ammirare con più attenzione l'ambiente che ci circonda, dalle residue fioriture all'autunno oramai del tutto evidente nel bosco coi faggi quasi completamente spogli e uno spesso strato di coloratissime foglie sul terreno. Il ritorno a Campocatino (ore 15,35)ci offre un altro squallido quadro di caccia: una decina di fucilieri in frenetico movimento ai bordi dell'oasi sulle orme di qualche piccola preda; ma quantomeno due guardie controllano che non vengano commesse irregolarità. Il gruppo che ha optato per la Tambura non è ancora arrivato, c'è tempo per scambiarci impressioni e conversare con gli amici di Livorno che promettono di essere ancora dei nostri. Le loro impressioni sono per noi uno stimolo importante ad impegnarci sempre di più.

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