Camaldoli:
Da quasi un millennio,Camaldoli vuol dire monaci.
Fu nel 1025 che Romualdo, monaco di Ravenna, fondò in questa foresta
del Casentino l'eremo e il monastero di Camaldoli, che da il nome alla
congregazione Camaldolese dell'ordine di S. Benedetto.
Essa conta nove fondazioni e 120 monaci in tutto. Ancora oggi il suo
scopo è quello della vita monastica secondo la Regola benedettina e
gli antichi statuti camaldolesi.
La figura del monaco, che è antica e sfida la modernità, la figura di
Benedetto, padre del monachesimo occidentale e infine quella di Romualdo,
monaco ed eremita dell'anno mille.
Sono le tre figure che aiutano a comprendere Camaldoli e le regole della
solitudine, della comunione e dell'ospitalità che ancora ne ispirano
la vita.
La Verna:
Montagna sacra della contemplazione francescana detta anche " Calvario
serafico ".
Qui nel settembre del 1224 Francesco d'Assisi ricevette da Cristo "
l'ultimo sigillo "delle Stimmate.
Ricca di bellezze naturali e di opere d'arte, da quasi otto secoli è
centro di'attrazione e irradiazione del messaggio francescano di pace
e fraternità universale.
02 giugno escursione a Camaldoli.
" C'era una volta una foresta incantata.......alberi
altissimi sorreggevano il celo come colonne di una cattedrale, un folto
mantello di candida neve ricopriva i rami ossuti e un tappeto altrettanto
candido e soffice attutiva i rumori."
Alle ore 06, ci troviamo davanti alla sede di Ripa in 13 aramati di
zaini, più o meno in orario, con tanta voglia di stare assieme. Ci dividiamo
su cinque auto e partiamo alla volta di Badia Prataglia. Percorriamo
l'autostrada sino a Firenze sud senza intoppi e poi imbocchiamo la statale
70 verso il Passo della Consuma, Poppi, Soci, e infine
Badia Prataglia.
Ci dirigiamo alla pensione
Bellavista, con molto piacere veniamo accolti da gentili gestrici
che ci mostrano le accoglienti camere. Non perdiamo tempo e ci ritroviamo
fuori già equipaggiati per l'escursione.
Le previsioni non incoraggiano ma non ci arrendiamo e partiamo alla
volta di Camaldoli.
Ci dirigiamo verso la chiesa da dove davanti all'edificio parte una
strada con indicazione via Vetricetta, ben presto ci ritroviamo su una
scalinata al cui termine notiamo l'indicazione per Capanno con inizio
del sentiero n° 260, troviamo un bivio e prendiamo a destra e in pochi
metri siamo in prossimità del campeggio Capanno, (mt. 1.030).
Qui ci ingarbugliamo un pò e decidiamo di prendere la strada ma ci accorgiamo
subito che il sentiero passa più in basso della strada, sulla destra.
scendiamo e ci troviamo subito nel fitto bosco su un sentiero natura
che al ritorno vedremo segnalato con lo 00. Avremmo dovuto salire al
ristorante Capanno e prendere il sentiero 00 che da qui parte.
Il parco che si trova nell’Appennino Tosco-Romagnolo è un complesso
forestale che occupa la zona tra il Passo
dei Mandrioli e il Monte
Falterona. Noi ci troviamo ovviamente in Toscana e questo versante
è più ricco di vegetazione e con dolci rilievi collinari. Questo perché
in Romagna fino a tutto il XVII secolo si procedeva ad un disboscamento
incontrollato per produrre legname e per creare terreni agricoli. Anche
se a quote più basse sono visibili i segni dello sfruttamento dell’uomo,
quì più in alto siamo di fronte ad una nature gestita con grande cura.
Infatti, qui l’attenzione e la cura dell’uomo verso gli ecosistemi forestali
ha una storia millenaria. La storia del parco si può far risalire all’anno
1012, quando, con la donazione di un terreno venne fondato l’Eremo di
Camaldoli: successivamente i monaci ampliarono le loro proprietà e cominciarono
a curare le foreste per mantenere luoghi solitari di meditazione attorno
al Monastero. Grande attenzione venne posta nel proteggere e diffondere
le fistaie di abete bianco e, per tutelarne l’integrità, i monaci, emanarono
un codice forestale, mentre, con la regola monastica, stabilivano di
piantare 3.000 alberi l’anno. Da queste foreste provenivano i migliori
alberi per le navi dell’Ordine di Malta e per i Vascelli dell’arsenale
di Livorno, nonché travature per la Basilica di S. Maria del Fiore.
Il Parco Nazionale ha riunito la preesistente riserva integrale di Sasso
Frationo e le 4 riserve Biogenetiche di Badia Prataglia, Camaldoli,
Campigna, Scodella.
E noi ci troviamo proprio nel bosco più fitto che abbiamo
mai visto, tanto fitto che la luce stenta a penetrarvi, infatti il sottobosco
è inesistente. dopo pochi passi nel bosco, una grande sorpresa, in un
prato notiamo un grande cervo che fa sfoggio di enormi palchi. Restiamo
lì increduli ad ammirarlo sin che scompare nel folto bosco.
Ora attraversiamo una sterrata e ci immettiamo sul sentiero GEA
(Grande Escursione Appenninica), subito ci troviamo
su strada asfaltata e la percorriamo brevemente costeggiando un torrente
sino alla prima curva dove ci rimettiamo sul sentiero dove è visibile
un'indicazione per Fangacci.
Il sentiero non smentisce il nome della località che stiamo per raggiungere,
infatti le piogge dei giorni scorsi hanno ridotto questo e a dir il
vero anche gli altri sentieri in un pantano, ci troviamo su uno spiazzo
ed ecco apparire una piccola costruzione dal tetto spiovente al centro
di una radura, come nelle favole migliori: è il rifugio Fangacci (m.
1.263), peccato che sia chiuso , quì ci potremmo arrivare anche in macchina,
infatti questa località è raggiunta dalla strada che parte da Badia
Prataglia.
Dopo uno spuntino ripartiamo prendendo il sentiero n° 00 davanti a noi
con indicazione per Prato Penna che da quì dista due km. Proseguiamo
nel fitto bosco di abeti bianchi e ancora ci meravigliamo quando all'improvviso
dal bosco appare una bellissima cerva con il piccolo restano un pò a
guardarci e poi visto che per lo stupore molti di noi non riescono a
frenare l'entusiasmo e le molte grida di stupore sono causa della fuga
di questi splendidi animali.
Giungiamo a Prato Penna ( 1248 mt.), il sentiero termina momentaneamente
sulla provinciale dei Fangacci, strada che percorriamo in discesa per
pochissimi metri dove sulla sinistra troviamo l'indicazione per il Sacro
Eremo su sentiero n° 74, l'eremo da quì dista 1,3 km; ora il bosco cambia
e ci troviamo tra larici e faggi e il sentiero viene interrotto ancora
dalla strada la seguiamo sulla sinistra e dopo pochi metri sulla sinistra
riparte il sentiero n° 70 che conduce in pochissimi minuti al Sacro
eremo(m. 1.104).
Volevamo visitare il monastero ma anche i santi padri hanno necessità
terrene e dovendo pranzare chiudono il complesso, ci informiamo sull'apertura
e la notizia che riapriranno alle ore 15,30 ci delude profondamente.
Abbiamo appena il tempo di fare una capatina nella farmacia ma anche
questa ci invita ad uscire in quanto prossima alla chiusura. All'esterno
dell'eremo vi è una bellissima e fresca fonte dove ci rinfreschiamo,
ci riuniamo e pensiamo come organizzare il resto della giornata e molti
di noi vorrebbero aspettare che riaprono l'eremo. purtroppo l'orario
è troppo in là.
Decidiamo di pranzare e poi di scendere verso Camaldoli per poi ritornare
su all'eremo per la visita.
Ci mettiamo in cerca di uno spiazzo al sole, e ci accingiamo
a pranzare. Appena terminato non indugiamo e prendiamo decisamente verso
Camaldoli, forse troppo decisamente, prendiamo il sentiero n° 168, giustamente,
ma poi ci confondiamo con segnali rossi fatti dalle guardie forestali
per censimento d'alberi e ci troviamo al laghetto Traversari e seguiamo
un sentiero, non numerato ma purtroppo con alberi seganti in rosso,
e ci troviamo ad un bivio e perdiamo un po' di tempo per fare il punto
sulla carta e decidere in che direzione andare, prendiamo a destra.
Siamo in una zona ricca d'acqua, sono numerosi torrenti e ruscelli,
il bosco è a faggio.
Percorriamo un ripidissimo sentiero molto scivoloso e giungiamo ad una
strada, la attraversiamo e in prossimità di una staccionata e cartello
stradale che indica la pendenza della strada, sulla destra riparte il
sentiero n° 168 non segnalato in questo punto, abbiamo ritrovato il
sentiero perduto.
Percorriamo il sentiero che in definitiva costeggia la strada e giungiamo
ad una chiesetta intitolata a S. Romualdo, non ci sono indicazioni sulla
costruzione, scendiamo ancora e troviamo un'altra piccola chiesina e
dopo pochissimo siamo al paese di Camaldoli.
Camaldoli, cittadella dello spirito, deve la sua fama a San Romualdo,
riformatore della regola benedettina, che giunse in questo luogo nel
1012. Qui egli fece costruire l'eremo in una radura all'altezza di circa
1100 m. e più in basso, in località Fontebona, un ospizio per i pellegrini,
ammessi a condividere l'esperienza dei monaci. La comunità camaldolese
si caratterizzò per la pratica di due diversi momenti di vita monastica:
alcuni periodi venivano trascorsi in eremitaggio, altri nella dimensione
comunitaria. La congregazione camaldolese si espanse moltissimo in Italia
e in Europa grazie ad una serie di donazioni di proprietà e chiese da
parte di nobili. Questi monaci, infatti, a differenza dei francescani,
potevano ricevere e trattenere beni. Dante li chiama li frati miei che
dentro ai chiostri/ fermar li piedi e tennero il cor saldo ( Par. XXIII,
49-51). L'attuale monastero risale al Cinquecento ed è corredato dalla
foresteria, dall'antica farmacia e da una biblioteca. La prima cosa
che incontriamo è l'antica farmacia (1513).
Entrare nell' Antica Farmacia è un'esperienza singolare. Aperta la porta
l'ingresso, si entra in un locale che fa provare una certa emozione:
a sinistra armadi del Cinquecento in castagno, di fronte e a destra
vetrine con i prodotti della farmacia. L'accesso alla sala delle vendite
avviene attraverso una porta a due battenti. Anche qui, come in tanti
altri luoghi del monastero, ritrovi il simbolo della comunità monastica:
il calice e le colombe intagliate in due formelle simmetriche. Superata
questa porta, ci si trova in una stanza dalla luce soffusa: pareti e
soffitto sono completamente rivestite di legno.
Questo sontuoso allestimento risale all'antica farmacia dei primi anni
del Cinquecento. Per l'esattezza al 1513, quando essa venne nuovamente
ripristinata dalle distruzioni di uno dei molti incendi che l'hanno
danneggiata e talora anche distrutta.
Dentro queste sale non si sa dove posare gli occhi, tante sono le cose
che ti attraggono. Dal soffitto a cassettoni alle vetrine illuminate
e piene di prodotti. Dagli armadi con ante impreziosite da intagli,
ai ripiani rivestiti di stoffa rossa. Dalle cassettiere poste in alto
vicino al soffitto, alle immagini dei santi protettori incastonate in
cornici ovali. Una porta a sinistra immette nel laboratorio galenico:
una meraviglia tutta da scoprire! Dopo questa interessante visita ci
dirigiamo al monastero che è stato più volte rimaneggiato, fu ed e'
un faro di cultura e di fede. Secondo una leggenda il Monastero
venne fondato da Maldolo, conte di Ravenna - da cui deriverebbe il nome
Ca'Maldoli - e in seguito fu donato a San Romualdo. In realtà, appare
più verosimile che il nucleo originario del Monastero sia stato costruito
insieme al Sacro Eremo nel 1025 da San Romualdo. Il Monastero venne
poi interamente edificato nel Cinquecento. La struttura si articola
attorno ad un chiostro centrale che presenta due ordini di arcate a
tutto sesto. Nell'ambiente del refettorio si trovano affreschi realizzati
da Lorenzo Lippi, un dipinto seicentesco del Pomarancio e arredi in
legno del Seicento. La Chiesa risale al Settecento e conserva opere
di Giorgio Vasari, tra cui la Natività, la Deposizione e una Madonna
in trono con Bambino e Santi. Erano, inoltre, presenti un laboratorio
per la produzione di medicinali con erbe e una Biblioteca composta da
oltre trentamila volumi.
Dopo la visita ci prendiamo un attimo di sosta e ci prendiamo un caffè.
Riprendiamo la via del ritorno la stessa che abbiamo già percorso; sul
sentiero incontriamo un anziano frate benedettino molto gioviale che
ci racconta un pò la storia di questo sentiero spiegandoci che su questo
sentiero sono transitati moltissimi santi da S. francesco, S. romualdo,
S. Carlo Borromeo ecc.
Rigiungiamo all'eremo è aperto e ci dedichiamo alla visita.
Entriamo e visitiamo la chiesa in stile barocco e in
una cappellina laterale vi è una pregiata terracotta smaltata di Andrea
della Robbia 1435 - 1525 raffigurante la Vergine con il Bambino e i
santi.
Visitiamo le sale del Capitolo con il bel soffitto ligneo e l'oratorio.
All'esterno al di la di una cancellata vi è la grande pace della zona
delle celle dei monaci ognuna con il proprio orticello. Infine visitiamo
la cella di S. Romualdo, oggi inglobata nell'edificio della biblioteca,
che mantiene al suo interno la struttura tipica della cella eremitica:
un corridoio che si snoda su tre lati, custodendo al suo interno gli
spazi di vita del monaco, la stanza da letto, lo studio, la cappella.
Questa struttura "a chiocciola", oltre ad offrire riparo dalle rigide
temperature invernali, simboleggia il percorso interiore del monaco
che cerca di entrare in se stesso. Terminata la visita riprendiamo la
via gia percorsa al mattino per Badia Pratgalia.
03/06/2007 La
Verna (1100 m.)
" Nel crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese
l'ultimo sigillo che le sue membra due anni portarno " Dante - Paradiso
canto XI
Ci svegliamo al mattino non all'alba come al solito
ma stranamente questa volta ci concediamo il lusso di scendere dal letto
alle ore 07,30. Purtroppo il celo si presenta molto scuro e le vie del
paese sono immerse nelle nella nebbia e la nostra prima decisione è
di andare alla Verna in auto.
Siamo rassegnati all'idea di dover rinunciare e dopo colazione partiamo
alla volta del Santuario Francescano.
Man mano che ci avviciniamo alla meta il celo si fà più chiaro e passata
la località di di Rimbocchi, paese che tra l'altro doveva essere punto
di partenza della nostra escursione, incrociamo il sentiero n° 053 che
conduce alla Verna, che da qui dista circa un'ora. Ci fermiamo qui e
decidiamo di intraprendere il cammino verso la nostra meta.
Il sentiero all'inizio sembra non essere percorso da molto tempo, infatti
l'erba è molto alta ma ben presto s'inoltra in un fitto bosco che questa
volta è di faggi, querce e larici; inoltre questa volta vi sono ampi
spazzi da dove ammirare il panorama. Adesso però ci troviamo in un fitto
bosco di larici ed enormi massi ricoperti di muschi che lo punteggiano,
vi sono anche molte grotte e cavità. Poi alla nostra sinistra si staglia
una ripida parete e già fantastichiamo di scalarla, proseguiamo e non
ci rendiamo conto che la parte è un lungo bastione, noi sempre col naso
all'insù in cerca di possibili vie da scalare.
All'improvviso siamo fuori dal bosco e sopra di noi sull'imponente rocca
sorge l'eremo della Verna. L'Eremo della Verna è situato sull'omonimo
monte a 1.129 metri sul livello del mare. Il monte, di proprietà del
conte Orlando dei Cattani, fu donato nel 1213a San Francesco d'Assisi
che con alcuni compagni vi fondò alcune celle di eremitaggio.
Oltrepassiamo un cancello e siamo su lastricato che ci porta davanti
alla chiesina degli "Uccelli" dove secondo la tradizione S. Francesco
fu accolto al suo arrivo da una grande moltitudine di uccelli.
Saliamo un'altra rampa e poi entriamo attraverso il portone all'interno
dell'eremo.
Siamo sul " Quadrante " piazzale lastricato, circondato da un muro in
pietra, detto Quadrante a motivo della meridiana, l’orologio solare
inciso sulla parete del Campanile della Basilica: "Se il sol mi guarda,
le ore ti mostro". Siamo a 1128 m. sul livello del mare. Una grande
croce in legno piantata sulla roccia si staglia verso il cielo e apre
lo sguardo all’immenso panorama della valle del Casentino limitata all’orizzonte
dalla catena appenninica del Pratomagno (l591 m.) Ben individuabili,
da sinistra a destra, Chiusi della Verna con i resti del castello del
Conte Orlando, la Valtiberina sullo sfondo, il monte Casella (1263 m.),
le case della Beccia proprio sotto la montagna, le cittadine di Bibbiena
e Poppi. A sinistra il pozzo della foresteria: una cisterna del sec.
XVI, utilizzata per gli ospiti ed i pellegrini. I tetti irregolari a
lastre o a coppi e tegole, su cui si ergono fantasiosi camini, fanno
di questo angolo uno dei piu suggestivi esempi di architettura spontanea,
opera dei frati e delle maestranze che vi hanno lavorato.
Visitiamo poi S. Maria degli Angeli, la Chiesina fù voluta da Francesco
stesso che, in seguito ad una apparizione della Vergine, ne indicò il
luogo e le misure richieste.Sono quelle della Porziuncola, nella pianura
di Assisi, dove egli aveva compreso la sua vocazione evangelica. Per
questo era tanto affezionato a S. Maria degli Angeli e volle che 1’unica
costruzione in pietra alla Verna fosse dedicata alla Madre del suo Ordine.
Stà per essere celebrata la santa messa e partecipiamo alla cerimonia
nella Basilica dedicata alla Madonna Assunta, un momento di vera spiritualità.
La basilica fu iniziata nel 1348 grazie alle offerte del conte Tarlato
di Pietramala e di sua moglie Giovanna di S. Fiora. I frati riuscirono
a completarla solo nel 1509 col contributo dell’Arte della Lana di Firenze.
Per quasi due secoli i lavori erano stati sospesi per mancanza di fondi.
A croce latina, con bracci laterali assai ridotti, contiene ricordi
importanti e capolavori d’arte. Molto del materiale con cui furono costruiti
la chiesa e il campanile apparteneva alle rovine del castello di Chiusi,
lasciato in abbandono sul finire del secolo XV. L’interno, a navata
unica secondo la primitiva tradizione di architettura francescana, è
a quattro campate con volte a crociera. La seconda è arricchita dallo
Stemma dell’Arte della Lana, opera di Benedetto Buglioni 1459 -1521
Il tondo a ghirlanda di frutta e rami frondosi circonda 1’Agnello pasquale
sgozzato e vivo che impugna la bandiera con la croce. Simbolo del Cristo
crocifisso e risorto fu adottato come stemma dalla corporazione fiorentina
più benemerita nei confronti del Monte della Verna. Fu collocato nella
volta intorno al 1495. Pregevoli sono le pale robbiane presso gli altari
laterali. Usciti dalla basilica visitiamo "Sasso Spicco" un baratro
orrido e umido. Un masso imponente sporge per vari metri sopra un’altra
robusta roccia. Sembra staccato (Sasso 'spicco’) e si regge solo per
il contrappeso della parte che non si vede. La croce di legno addossata
alla roccia ricorda come Francesco in questo luogo amava meditare la
Passione.
Siamo ora nel corridoio delle stimmate dove ci sono affreschi con la
storia di S. Francesco, da questo corridoio arriviamo alla grotta dove
c'è il letto del Santo, un letto di pietra.
Uscendo all’aperto si può girare attorno alla grande roccia su cui poggiano
le fondamenta della cappella di S. Sebastiano e del Romitorio. Una ringhiera
in ferro permette di affacciarsi senza pericolo sui prati sottostanti
mentre un’altra grata chiude un piccolo anfratto che accolse S. Francesco.
Mentre il demonio cercava di gettarlo di sotto egli si appoggio alla
roccia che gli si fece riparo come se fosse di molle cera. (Cfr. Fioretti,
II Consid. FF 1911).Affacciandosi alla ringhiera lo sguardo si allarga
su tutta la valle del Casentino verso Poppi, Soci, il passo della Consuma
(1060 m.). Sospesi tra cielo e terra .
Ci ritroviamo tutti sul piazzale del Quadrante e ci facciamo alcune
foto in gruppo poi riprendiamo il nostro cammino verso il monte Penna.
Riusciti sempre dal portone principale si riprende la mulattiera verso
sinistra segnalato "sentiero natura" che ora costeggia il muro di cinta
prima salendo e poi scendendo fino ad innestarsi sulla strada principale.
Su questa si volta a destra arrivando ad una cappelletta.
Si lascia ora la via per prendere a sinistra il sentiero GEA 050 che
poco dopo si inerpica lungo il versante meridionale del M. Penna, avvolto
da una grandiosa foresta.
La salita è molto ripida ma in breve siamo sul crinale
e da qui si può ammirare un bel panorama, peccato per il forte vento che
soffia. Ora camminiamo su sentiero quasi pianeggiante, siamo appena sotto
la cresta, per fortuna siamo anche sotto vento. Giungiamo alla vetta a
quota 1283 mt. sulla vetta c'è una vecchia chiesina, ammiriamo il panorama,
il precipizio è protetto da una balaustra in ferro da dove l'occhio spazia
sulle migliaia di ettari delle foreste Casentinesi.
Ci fermiamo sulla vetta cercando di rimanere al coperto dal vento e quì
pranziamo. Dopo circa un'ora ripartiamo, da prima su un tratto quasi in
piano e poi una netta discesa tra altissimi faggi.
Giungiamo al termine del sentiero e ci troviamo alle spalle del complesso
monastico, veniamo accolti dallo scampanio gioioso del campanile della
basilica e attraverso una piccola porticina rientriamo all'interno dell'eremo.
Ci fermiamo per fare alcuni acquisti, in particolare liquori con ricette
dei monaci; un caffè e via si riparte. Usciamo dal portone principale
e ripercorriamo il sentiero percorso al mattino da dove raggiungiamo le
auto.
Una riflessione al termine di questi due giorni:
" Abbiamo passato giornate bellissime in un ambiente magico, fatato tra
montagne della spiritualità, abbiamo condiviso tutti assieme tante emozioni
avvistando cervi e ammirando la grandezza del Creatore che ci ha dato
tanta bellezza, abbiamo avuto anche attimi di commozione ricordando amici,
Grandi Amici che purtroppo non ci sono più, almeno fisicamente ma la loro
presenza è continua e siamo sicuri sono sempre al nostro fianco."
In conclusione è stata una bellissima esperienza che ci porteremo dentro
di noi per molto tempo e magari ci auspichiamo di ripetere a breve termine
per permettere a chi non ha potuto parteciparvi di provare le stesse nostre
sensazioni.
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