Appena terminata la due giorni
sulle Alpi Graie eccoci di nuovo in escursione sulle nostre Apuane. La
meta di oggi è un monte sconosciuto ai più, non certo significativo per
altitudine (solo 1147 m.) ma impegnativo e impervio, tanto che in alcuni
punti di cresta è necessario arrampicare. Dalla vetta lo sguardo spazia
dalla Garfagnana, all’Appennino Tosco-Emiliano che la delimita a nord,alla
verdeggiante vallata della Turrite Secca, alle rocciose pareti del monte
Sumbra, al gruppo delle Panie che da qui è possibile ammirare nella sua
interezza. Prima di raccontare la nostra esperienza vogliamo ricordare
a chi volesse ripeterla che il percorso richiede buon allenamento e una
certa esperienza su roccia. L’itinerario inizia dal paese di Pizzorno
(m. 480), poche case alcune delle quali abitate tutto l’anno,alla base
della strapiombante parete nord del monte Rovaio.
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Pizzorno è raggiungibile
percorrendo la provinciale che da Ripa porta a Castelnuovo Garfagnana
attraverso la galleria del Cipollaio. Superata Isola Santa si procede
per circa un Km cercando il cartello che indica la località Pizzorno,
e una strada a destra che scende verso il torrente Turrite Secca
risalendolo per un breve tratto. Da notare che in paese non esiste
possibilità di parcheggio, c’è solo lo spazio per eventuali manovre
perciò una volta arrivati conviene girarsi e, tornando indietro,
parcheggiare lungo la strada. |
Alle 8, dopo qualche vicissitudine col parcheggio, siamo
finalmente pronti per indossare gli zaini, siamo in 10. Attraversiamo
il paese senza badare troppo ai segni inerpicandoci su una traccia ben
evidente che sembra proprio essere il sentiero. Ben presto però ci rendiamo
conto che c’è qualcosa che non va, la traccia scompare! E’ evidente che
abbiamo preso la direzione sbagliata, stiamo andando all’attacco delle
vie di arrampicata. Va beh abbiamo scaldato i muscoli, ora torniamo indietro
e staremo più attenti. Attraversato il paese sull’angolo di una casa c’è
un segnale ben visibile che indica il sentiero (segnavia 138) che
procedendo inizialmente in piano si inoltra nel bosco. Quasi subito però
inizia a salire, da qui alla vetta sono poco meno di 700 metri di dislivello
ma la salita non molla mai, e per lunghi tratti è veramente ripida. L’umidità
prodotta dal Fosso Rimondina che scorre sul fondovalle rende particolarmente
verde la zona. Raggiunto il Fosso del Burrone, particolarmente suggestivo
per la presenza di muschi sui tronchi gettati nell’alveo per regimarne
le acque, la salita si fa davvero faticosa mentre la vegetazione cambia
gradualmente con i castagni che lasciano il posto ai faggi. In breve arriviamo
a Colle Panestra (m.1008), poco prima delle case troviamo un vecchio lavatoio
con una fontanella, l’acqua fresca è proprio quello che ci vuole. Ci concediamo
una sosta per bere, rinfrescarci e farne una buona scorta perché da ora
in poi non ne troveremo più e, credetemi, la parte più dura deve ancora
venire.
Da Colle Panestra proseguiamo lungo il sentiero (segnavia
133) verso Pasquigliora percorrendo una sorta di viale alberato fino
ad incontrare la strada forestale che sale dall’Alpe di San Antonio. Da
ora in poi si deve prestare molta attenzione perché il sentiero segnalato
scompare, si deve procedere inizialmente su tracce e poi fuori sentiero.
Scendiamo per un tratto lungo la carrareccia fino ad incontrare, sulla
sinistra, un’ampia traccia recentemente ripulita e perciò oggi ben visibile,
che in altri momenti potrebbe però essere sporca e seminascosta dall’erba,
attenzione dunque. In pochi minuti siamo in località Colle, due case in
evidente stato di abbandono. La nostra attenzione è subito attratta da
una pianta carica di mele, proprio quello che ci vuole per un “branco”
di assetati come noi. Belle speranze fatte svanire da un poggio, le mele
sembravano facilmente raggiungibili, invece! Per fortuna che Piero è un
arrampicatore più agile di una scimmia! Proseguiamo tra piante di nocciolo
mentre la traccia diventa sempre più aleatoria.
Da ora in avanti non esiste più nessuna traccia effettiva,
se non quelle create dal passaggio degli animali che naturalmente portano
fuori strada, attenzione quindi a non scambiarle per tracce da seguire.
Molto in alto è visibile la cresta, è li che dobbiamo puntare attraverso
il bosco badando di scegliere un percorso che non finisca in uno dei tanti
burroni. Questo sarà particolarmente importante in discesa. E’ dura col
terreno sempre più impervio man mano che saliamo. Marco, che peraltro
è uno dei più allenati, non ne può davvero più e sbotta annunciando che
quello che stiamo facendo non è escursionismo, è “caprettismo” a sottolineare
che il percorso è più adatto alle capre che agli escursionisti. Ancora
uno sforzo e finalmente siamo in cresta, ora viene il difficile. E’ affilata
e presenta numerosi passaggi dove si deve arrampicare. Con infinita cautela
cercando di aggirare i punti più esposti, per farlo è necessario ridiscendere
alcune volte nel bosco, raggiungiamo stanchissimi la vetta alle 10,50.
Salendo avevamo gia capito che il panorama sarebbe stato a dir poco unico,
ora però siamo stupefatti. I paesi della Garfagnana ,l’Appennino, il Sumbra
e la maestosità delle Panie che da qui si mostrano nella loro interezza.
Abbiamo proprio bisogno di riposo e di fare il punto per la discesa.
Il percorso è pressoché obbligato, la parete est è troppo
impervia per discenderla dopo un breve tratto di sentiero si deve obbligatoriamente
arrampicare su rocce strapiombanti,non resta che la cresta a ritroso.
Ma la discesa è tutt’altra cosa della salita, così mandiamo avanti i due
più esperti per individuare i passaggi meno difficili. Alcuni però sono
inevitabili, attenzione dunque! Appena possibile ridiscendiamo nel bosco
per procedere in direzione dello strapiombo della parete nord-ovest, quella
che sovrasta Pizzorno. Da qui diventa assolutamente necessario procedere
con la massima cautela perché il pendio è spesso interrotto da burroni,
procediamo tra gli alberi scendendo di quota. Nonostante l’attenzione
prestata qualche scivolone è inevitabile. Scendiamo fino ad incontrare
la traccia che aggira il monte, attenzione perché è una traccia di cacciatori
perciò non è facilmente individuabile. A fatica raggiungiamo la località
Bovaio dove ci fermiamo ammirati. E’ un autentico esempio di ingegno del
passato, qui una famiglia era del tutto autosufficiente. Ingegnosamente
ricavata sfruttando una imponente rientranza della parete rocciosa era
la stalla col sovrastante fienile. Più in alto la roccia era stata modellata
per ricavarne una cisterna per la raccolta dell’acqua che scolava dalla
roccia. Ora è asciutta ma un tempo dai numerosi canaletti gocciolava l’acqua
che consentiva la vita di animali e uomini. Più avanti la casa con annesso
porcile, gabinetto e forno per il pane. Avanziamo ora in un fitto boschetto
di noccioli che nelle piane, tuttora visibili, hanno preso il posto delle
colture dopo l’abbandono. Usciti dal bosco in corrispondenza del pianoro
al termine della cresta rocciosa proseguiamo a dritto verso il dirupo.
Si racconta che nel corso di un violento scontro a fuoco
con le truppe naziste, un gruppo di partigiani si gettarono dal dirupo
pur di non arrendersi. Ci fermiamo nei pressi del cippo di pietre che
ricorda l’episodio, anche noi lasciamo una pietra com’è abitudine per
tutti coloro che passano da queste parti, prima di risalire fino al pianoro
al termine della cresta. Sono le 12,50 adesso pausa pranzo. Il sole caldissimo
invita al riposo, ripartiamo solo alle 13,40 imboccando il sentiero non
segnalato ma ben evidente e visibile che aggirando la cresta torna a Colle
Panestra. Le numerose piante di Lagno (Farinaccio o Matallo in garfagnino)
sono coperte di bacche rosse, irresistibile richiamo per uccelli e per
alcuni di noi. Le bacche infatti sono commestibili ma eccessivamente dolci,
tanto da risultare stucchevoli. Passiamo dalla casa dove ebbe inizio il
citato scontro a fuoco tra i partigiani del Gruppo Valanga e le truppe
naziste, che il 29 Agosto 1944 costò la vita a 18 partigiani. Proseguiamo
verso Colle Trescala (m. 985), solo due case ma ben ristrutturate. Ci
fa piacere vedere che su questi monti ogni casa,anche semi diroccata,
ha un suo numero civico segno di lungimiranza del comune di Molazzana.
Tornati a Colle Panestra aggirando il Monte Rovaio, svoltiamo a destra
immettendoci sul sentiero (segnavia 138) che abbiamo percorso al mattino.
Non ci sono più difficoltà, basta fare attenzione alle foglie che rendono
la discesa piuttosto difficoltosa facilitando gli scivoloni. Per nostra
fortuna non sono bagnate! Siamo di ritorno alle 15,30. Rivolgiamo un ultimo
sguardo al Rovaio, col sole ancora alto la parete nord ha un aspetto maestoso.
Siamo di ritorno alle 15,30. Rivolgiamo un ultimo sguardo
al Rovaio, col sole ancora alto la parete nord ha un aspetto maestoso.
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