ALPI    APUANE
(le nostre montagne)

Lo scoglio ove il Sospetto fa soggiorno
E' dal mar alto da seicento braccia
Di ruinose balze cinto intorno
E da ogni canto cader minaccia


Lodovico Ariosto
endecasillabi dedicati al Procinto definito la casa del diavolo


La catena deve l’origine del nome agli antichi abitatori della zona: i liguri apuani. Solo all’inizio dell’800, però, l’attuale denominazione è entrata nel linguaggio scientifico; prima d’allora erano conosciute come "le Panie". Dal punto di vista geologico la catena si differenzia nettamente dall’Appennino; a questo, e al fatto che le bianche immagini marmoree della catena vista in lontananza appaiono come i grandi ghiacciai alpini, è dovuto il nome "Alpi". Nella massa marmorea è racchiusa anche la storia della formazione di queste montagne risalente a circa 30-35 milioni di anni fa. Da un’antica fossa marina dov’è avvenuta la sedimentazione calcarea nel miocene inferiore, si è sollevata l’intera ruga apuana precedendo di poco il sollevamento del vicino Appennino. In questa fase è avvenuto il metamorfismo che ha originato la ricristallizzazione dei sedimenti calcarei formando così il marmo: i calcarei bianchi hanno originato il marmo statuario mentre quelli impuri hanno originato i marmi venati.

Un’antica leggenda narra che Dio fosse così orgoglioso del suo capolavoro da creare, più tardi, un gigante di nome Aronte a cui assegnò il compito specifico di difendere il suo operato dall’assalto dei rivieraschi. Aronte, infatti, tenne fede alla consegna e per punire i cavatori che avevano osato sfidarlo, aprendo le prime ferite nei fianchi delle sue protette, scese verso il mare e ne assoggettò gli abitanti malgrado la strenua resistenza dei potenti esseri marini che si vedevano minacciati dalla sua discesa a valle. Purtroppo, però, durante l’impresa s’innamorò di una giovane senza esserne ricambiato.

Disperato fece ritorno tra le sue fide montagne dove poco dopo morì di dolore. Queste, impietosite, lo seppellirono al Ravaccione, in quello che oggi per ironia della sorte è il più grande bacino marmifero del mondo. Per solidarietà col gigante tutte le Apuane, da quel giorno in segno di inimicizia per il mare e le sue genti, volsero alla riviera le loro pareti più aspre ed impervie ad eccezione del Procinto e del Pizzo d’Uccello. Il Pizzo d'Uccello perché essendo più lontano apprese in ritardo la storia quando aveva già schierato la sua invalicabile bastionata verso nord per difendersi dalle incursioni dei barbari. Il secondo perché aveva egoisticamente preferito mantenere la sua strapiombante parete est a protezione della propria incolumità nel timore che il pauroso appicco del Nona, proseguendo, potesse rovinargli addosso. D’altronde il Procinto da vero ribelle se ne sta sul suo zoccolo raggelante, arcigno e strano, mentre nello stesso tempo ti attira e ti respinge. Tutte le montagne hanno due facce, pochissime tre: solo lui ne ha quattro, una per ogni punto cardinale anche se a guardarlo assomiglia ad un panettone e le sue facce spariscono.

E’ la contraddizione di se stesso. E’ comunque in buona compagnia seguito com’è dai tre suoi satelliti: il Piccolo Procinto, Bimbo Fasciato e Bimba o Ignorante. Nelle Apuane si rivela in maniera massiccia il fenomeno carsico, come nella grotta del vento che si snoda per alcuni Km in un percorso costellato da affascinanti concrezioni calcaree, situata nel massiccio delle Panie.

Tra i fenomeni più evidenti vanno annoverati anche l’Antro del Corchia, profondo 840 m, l’Abisso Enrico Revel definito la seconda "verticale unica" del mondo, con una profondità di 300 m senza alcun ripiano; l’Abisso Marcel Loubens profondo 405 m, la Buca e la Tecchia di Equi, ed altre. Dove i monti si protendono verso il cielo con vette strapiombanti non poteva essere assente l’alpinismo. Anche se qui ha avuto inizio con un certo ritardo ha tuttavia una tradizione centenaria. Il Procinto è stato scalato da Bruni, Dinelli, Bertozzi, Vangelisti nel 1879 la Pania della Croce nel 1883 da Freshfield e Devoussaund, e via via fino alla conquista sistematica di tutte le pareti della catena su vie anche interamente di 6° grado. Se oggi le Apuane sono così famose il merito è anche degli alpinisti che hanno rivalutato per primi la bellezza di questa regione. Una volta i villaggi erano formati quasi esclusivamente da cavatori; oggi vanno sempre più assumendo l’aspetto di centri di villeggiatura. Ma tutt’oggi la zona è ancora intatta e ciò fa si che sia meta ambita da chiunque sia alla ricerca di esperienze a contatto di una natura affascinante e pura. Queste, in estrema sintesi, sono le "nostre Apuane": montagne aspre per cavatori, scalatori, escursionisti e capre (dopo la scomparsa di stambecchi e camosci, che pur sempre capre sono). Sorelle minori delle grandi Alpi, ma in grado di vincere il confronto con l’Appennino, catena di verdeggianti rilievi per boscaioli, sciatori e pecore. La nostra panoramica inizia dalla zona più nota della catena, le Apuane di Massa Carrara, nel regno dei monti del marmo.

Basta pensare al gruppo del Sagro dominante il settore nord-occidentale della zona per immaginare una delle più belle architetture della catena. Il confine del complesso massese-carrarese corre da nord a sud partendo dal crinale del Pizzo Baldozzana fino al monte Grondilice, da qui in direzione sud-est si snoda fino alla Tambura e al Sella per piegare poi in direzione della costa toccando il Macina, il Pelato, la Focoraccia e il Carchio. Le vallate si aprono in direzione di Massa-Carrara permettendo un facile accesso e offrendo incomparabili scenari. L’imponente bellezza della Tambura è raggiungibile da Resceto tramite l’impervia via Vandelli che conduce al Passo Tambura.

Ai piedi del Contrario, dopo un marcato circo glaciale, si apre il Canale degli Alberghi (Valle degli Alberghi) vallone scosceso in uno dei più selvaggi e incontaminati scenari delle Apuane, incorniciato in alto da faggi secolari e da carpini, in basso dalla tipica macchia mediterranea, da dove si ha l’imponente veduta del Grondilice, Contrario, Cavallo e Tambura.
Sul fondo marmoreo l’azione delle acque provenienti dai sovrastanti ghiacciai quaternari ha, in migliaia di anni, modellato le bellissime Marmitte dei Giganti, ricche di acqua anche nei mesi estivi. Dagli Alberghi un sentiero conduce ad una zona di cavità assorbenti al centro del canale dove si trova una freschissima sorgente. Le Marmitte dei Giganti sono conche di forma pressoché cilindrica, di dimensioni varianti dai pochi decimetri a parecchi metri, scavate nella roccia dalla forza delle correnti d’acqua. A partire da 15.000 anni fa, in corrispondenza con la fine dell’ultima glaciazione, imponenti masse di ghiaccio in scioglimento originarono impetuosi torrenti. La velocità di caduta delle acque e la quantità di detriti trascinati li dotarono di un’elevata capacità erosiva, i detriti erano costituiti da selciferi molto duri ed assumevano un movimento rotazionale a causa della turbolenza delle acque. Agivano così contro le pareti scavando nella roccia più tenera originando queste cavità dalle pareti levigate e sul cui fondo si trovano ancora ciottoli arrotondati. Esemplari bellissimi si trovano anche sui versanti mare della Tambura e del Sella e nei fossi che scendono dal versante meridionale del monte Sumbra. Da Carrara si raggiunge Campo Cecina da dove si ammira uno dei più bei panorami delle Apuane con vista sul Golfo di La Spezia, fino alle Alpi Marittime e se il giorno è privo di foschia fino alla Corsica. Qui ha sede il grandioso bacino marmifero che è considerato il maggior complesso di cave del mondo. Diverso, ma forse ancor più suggestivo, è il versante settentrionale compreso tra la vallata del Sagro e la valle del fiume Aulella. Si presenta più aperto e di più agevole accesso. Sovrastate dal Pizzo

Nattapiana e dal pizzo d’Uccello incontriamo Vinca ed Equi Terme, da cui un impervio itinerario s’insinua nel"Solco di equi" e termina ai piedi dell’imponente parete nord del Pizzo d’Uccello meta di ardite ascensioni. Numerosi sono i rifugi e i sentieri nella zona. La massima vetta delle Apuane coi suoi 1946 m. è il Pisanino chiuso dalla dorsale del Baldozzana a nord, del Pizzo d’Uccello ad ovest, il Cavallo a sud ed il Tombaccia ad est. La sagoma piramidale lo rende sicuro ed inconfondibile punto di riferimento raggiungibile sia dalla Garfagnana, attraverso la valle di Gramolazzo, sia dalla Lunigiana tramite la carrozzabile per Minucciano. Dal fondo valle è possibile ammirare l’imponente corona di vette dove permane la neve fino a tarda primavera. E’ in questa valle che nasce il ramo apuano del Serchio, il Serchio di Gramolazzo appunto, che nei pressi dell’abitato forma l’omonimo lago nelle cui acque, dando luogo ad un classico paesaggio alpino, si riflette la sagoma del Pisanino. Tra i gruppi circostanti troviamo
il Pizzo Altare, il Cardeto e il Pizzo Maggiore che congiungono il Pisanino al Contrario e Cavallo. In quest’ambiente il richiamo per gli amanti della montagna è fortissimo in virtù di queste superbe cime rocciose.

Proseguendo incontriamo il gruppo del Contrario e Cavallo delimitato dal Passo delle Pecore (1600 m.) e dal Passo della Focolaccia (1650 m.), la Foce del Cardeto (1680m.) lo separa invece dal Pisanino. Il monte Contrario s’innalza imponente alle spalle di Forno, tra la valle di Orto di Donna a nord e i valloni che scendono verso il fiume Frigido a Sud.
Precipita a sud-ovest, con una grandiosa parete di quasi 700 m. di calcari selciferi e di scisti mesozoici che attrae alpinisti di ogni nazionalità. Il nome del monte Cavallo deriva sicuramente dalla sua forma a gobbe; termina infatti con quattro cime tondeggianti che raggiungono i 1895 m. Sono vette percorse da decine di vie alpinistiche dove gli scalatori si cimentano in tutte le stagioni su difficoltà che raggiungono anche il 4° grado superiore. L’interesse alpinistico si è manifestato a partire dal 1894 col tentativo di A.Bruni. La prima ascensione avvenne nel luglio del 1897 ad opera di D. e A.Dalgas seguita, nel gennaio successivo, dalla prima invernale. Contemporaneamente Bozano, Galliano e Stronello portarono a termine il primo percorso sommitale.
Successivamente sono stati aperti tutti gli altri itinerari tra cui quello dal Canale Cambrone che giunge sulla vetta a 1895m ad opera di L. e H.Amery con le guide Conti, Zagonel e Pompanin nel 1912. I rilievi che si articolano intorno ai paesi di Vagli ed alla Valle di Arnetola costituiscono le Apuane di Vagli. Sono comprese tra la Tambura e i versanti nord del Sumbra e del Fiocca e la vallata del torrente Edron. La zona offre dolci ed armoniosi panorami come il lago di Vagli, paesaggi imponenti coma la Tambura e il Roccandagia sovrastanti l’abitato di Vagli di Sopra o aspri come quello della Valle di Arnetola. La Tambura (1890 m.), la terza vetta dopo il Pisanino e il Cavallo, è una poderosa montagna di marmo a forma di tozza piramide a tre facce. Il "Nodo della Tambura" formato dall’omonimo monte, dal Roccandagia e dal Tombaccia, presenta una pianta a forma di perfetto arco circoscrive tutta la zona della Carcarraia che offre ampi declivi ondulati in un ambiente carsico costellato di doline. A quota 1642m, poco sotto il Passo della Focolaccia, si trova il rifugio Aronte tradizionale base di partenza per le ascensioni alla vetta della Tambura. La salita in sci della Tambura è oramai diventato un classico itinerario dello sci alpinismo apuano. La Carcarraia, grande bacino nevoso, caratterizza la Tambura come la cima più bianca delle Apuane. La prima ascensione avvenne nel 1853 ad opera di L.Rutimeger e G.Inghirami ma la prima invernale avvenne solo nel 1883 ad opera di Bruni, Vangelisti e Matteotti.
Il versante orientale, con uno zoccolo roccioso di quasi 200 m. per il suo grado di difficoltà e stato scalato, in invernale, solo nel 1963 da Sarperi e Severini. Con ben tre cime dalle forme ardite che si protendono verso il cielo, completamente diverso dalla Tambura, è il Roccandagia. La Cima Nord, la più alta, raggiunge i 1700 m.
Il complesso domina la conca di Campo Catino residuo di un antichissimo bacino glaciale. Anche il Roccandagia è una grande palestra naturale per rocciatori che arrampicano prevalentemente sulla Penna di Campo Catino, la Cima Nord-Est. Più a nord troviamo il Tombaccia che appare solo se si è nella Valle di Gorfigliano o se si supera il Passo del Giovo. Tutti gli elementi del sistema alpino apuano sono racchiusi dalla Valle di Arnetola, profonda incisione che s’insinua tra Tambura, Roccandagia e Monte Croce mettendo in comunicazione Vagli con Arni e Resceto. Scendendo lungo il percorso del Serchio ci introduciamo nel cuore della Garfagnana, una grande vallata dai caratteri decisamente alpestri lunga circa 36 km. E interamente percorsa dal Serchio. Possiamo quindi definire come Apuane della Garfagnana i gruppi vicini al corso del Serchio, tra cui il più importante è certamente il gruppo delle Panie. Assieme alla singolarità e all’imponenza delle forme, la caratteristica del gruppo è data dal grande sistema carsico che l’interessa.
Il gruppo è sicuramente il più famoso delle Apuane; in pianta è disposto a forma di L con al vertice la Pania della Croce (1859 m.), all’estremità del contrafforte orientale la Pania Secca (con i suoi 1711 m.è il miglior punto panoramico che si affaccia sulla Valle del Serchio), e il Pizzo delle Saette (1720 m.) all’estremità settentrionale con la sua struttura rotta da enormi speroni che culmina arditamente con forma di torre mozzata. Anticamente chiamato Pania Ricca, il Pizzo è stato salito per la prima volta da Bozano e Vangelisti nel 1898. In mezzo si staglia l’inconfondibile "naso" dell’Omo Morto (1670 m.) che visto in lontananza assomiglia in maniera sorprendente al viso di un "uomo morto", appunto. Quasi completamente calcareo il massiccio si eleva a nord con un altopiano carsico inciso dal vallone della Borra di Canala. Ma la Pania non è dominio esclusivo dei rocciatori e

scalatori perché le sue pendici consentono l’accesso anche ai semplici escursionisti. La Pania della Croce, la "Regina delle Apuane" è la più celebre e famosa vetta delle Panie, di antichissima conoscenza e ricordata da Dante nell’Inferno, termina con una cresta quasi pianeggiante ed offre di se una visione stupenda quando il tramonto ne accende tutta l’elegante e grandiosa struttura. La testimonianza più evidente del fenomeno carsico è la Grotta del Vento situata nei pressi di Fornovolasco ai piedi della Pania Secca. E’ aperta ai turisti dal 1967; il visitatore attento è in grado di apprendere "dal vivo" elementi di tettonica e geologia, quasi tutto sull’origine, l’evoluzione e la fine delle grotte oltre che al complesso meccanismo che porta alla formazione delle stalattiti e stalagmiti.

 

Le da il nome la violenta corrente d’aria che a volte la percorre; la causa va ricercata nella temperatura interna che è sempre di 10,5° C e negli imbocchi situati a circa 1435 metri s.m. Si ha quindi una colonna d’aria di oltre 800 metri che grazie alla differenza di temperatura tra "dentro" e "fuori" sale o scende originando appunto il vento. All’estremità meridionale del gruppo è situata la bifida vetta del Monte Forato (1223 m.) che pur se di modesta altezza rappresenta un grandioso fenomeno di architettura naturale. Deve la sua celebrità al foro naturale aperto nella cresta tra le due punte. L’arco costituisce il Passo dell’Arco di Monte Forato con una larghezza di 32 metri, un’altezza di 26 metri e uno spessore di 8 metri.


Una volta all’anno da Barga si vede il sole per tutta l’apertura dell’arco, dopo che è tramontato dietro la cresta. Uno spettacolo altrettanto, se non più suggestivo, è visibile una volta l’anno da Pruno quando il sole sorge due volte. I raggi del sole illuminano una prima volta il grazioso e antichissimo borgo attraversando il foro, per poi scomparire oscurati dalla volta dell’arco e ricomparire, definitivamente, quando il sole compare al di sopra della vetta. Passando al gruppo centrale incontriamo le Apuane di Arni che si staccano nettamente dai complessi adiacenti poiché sono interamente circondate dai monti e comunicanti solo attraverso la stretta valle della Turrite Secca con la Garfagnana e attraverso la galleria del Cipollaio col versante marino. Qui la vegetazione è scarsa,

in un isola rupestre dominata dal Macina, il Fiocca, Il Sumbra il Pelato, l’Altissimo e il Freddone disposti a formare una gigantesca U rivolta verso la Garfagnana. Questi monti, che sono i principali del gruppo, si raccolgono tutti intorno ad Arni (916 m.), punto di ritrovo per alpinisti ed escursionisti che si preparano ad affrontare le impervie vie di questo grande complesso. Dopo il Macina e il Fiocca si apre il Passo Sella (1500 m.), da esso partono alcuni tra gli itinerari più spettacolari delle Apuane. Qui la tradizione alpinistica è particolarmente forte essendo nata, con l’invernale del Sumbra, nel 1884. Un interessante fenomeno carsico è dato dallo scomparire e riaffiorare del torrente Turrite Secca, così chiamato proprio perché in alcuni tratti prende la via sotterranea. Un altro aspetto notevole è costituito dalla vallata dei Tre Fiumi, formata dalla confluenza della Turrite Secca, dal Freddone e dal Canale delle Gobbie. Essendo una valle chiusa le acque defluiscono solo per vie sotterranee. Visto dalla Versilia, da dove si vede la sua imponente parete sud, il monte Altissimo (1589 m.) supera tutte le altre vette apuane. E’ reso famoso dalla presenza di numerose cave da dove si estrae il pregiato marmo statuario. Il monte Freddone (1487 m.), bella piramide a tre facce con creste rocciose, è posto in posizione dominante sulla carrozzabile della Turrite Secca e se ne riconosce la figura già da isola Santa procedendo verso Arni.


Imponente e bellissimo è il Sumbra con la sua inconfondibile "penna", da cui il nome Penna di Sumbra (1765 m.) ben visibile anche dalla marina e ricca di ardite vie d’arrampicata. Siamo così giunti alla conclusione del nostro viaggio sulle Apuane con i gruppi che gravitano su Stazzema e Seravezza. Attorno a Stazzema sono disposti, a formare un grande ferro di cavallo, il gruppo del Procinto e il Matanna.

Il primo costituisce un gruppo di torri, campanili e pinnacoli che non ha riscontro in tutta la catena. Al di sopra di uno zoccolo cilindrico con pareti verticali che superano i 100 metri si erge il torrione quadrangolare del Procinto. Tra lo zoccolo e il torrione corre una bella cengia chiamata Cintura, da essa si alza verticalmente per circa centocinquanta metri la sommità del monte (1177 m.). Il Nona (1300 m.)è di aspetto completamente opposto, con l’immenso lastrone calcareo strapiombante della sua parete Sud, è situato proprio di fronte al Procinto. Parete ritenuta a lungo "impossibile" è stata vinta solo nel 1966 dai fratelli E. e G. Vaccari solo grazie ai chiodi a pressione. Il Matanna (1317 m.) risulta la maggiore elevazione delle Apuane meridionali. L’Alto Matanna col relativo rifugio, un tempo albergo, è meta frequentata di gitanti ed escursionisti fin dai primi anni del secolo scorso.

E’ interessante ricordare l’iniziativa dei Barsi, padre e figlio, titolari dell’Albergo Alto Matanna. La spiaggia versiliese in fondo non era lontana,almeno in linea d’aria e sarebbe stato turisticamente interessante creare un rapido collegamento mare-montagna.
Da prima, i Barsi, pensarono alla solita funicolare, poi pensarono al pallone aerostatico, e infine al felice connubio dei due mezzi.Tendendo un grosso cavo tra due stazioni di testa, si poteva far scorrere sul cavo un carrello con appesa una navicella che sarebbe stata portata fino al Matanna dalla spinta ascensionale del pallone. L’iniziativa fu realizzata in breve con l’acquisto di un grosso aerostato di seta gialla cui fu dato il nome di "Rosetta". Il 28 agosto 1910 avvenne l’inaugurazione che ebbe un notevole risalto sulla stampa nazionale. I viaggiatori venivano condotti in automobile fino alla "Grotta delle Onde" dove passavano nella navicella dell’aerostato. Su un cavo metallico lungo 800 metri raggiungevano la vetta del Matanna in poco più di cinque minuti, sufficienti a dare l’emozione dell’avventura e a far godere un suggestivo panorama. Nell’inverno, purtroppo, una forte tempesta distrusse l’hangar dov’era stato alloggiato il Rosetta, strappò il cavo, e segnò la fine della funicolare aerostatica.

L’altra grande montagna di questa zona è il Corchia (1677 m.), l’imponente massiccio che domina Levigliani e tutta la valle del Canale delle Volte, tributario del Giardino e, assieme a questo, del Vezza. Proprio da Levigliani parte l’itinerario che conduce all’Antro del Corchia, enorme cavità a concamerazioni e gallerie profonde 800 metri e dallo sviluppo complessivo di circa cinquemila metri, cosa che lo pone ai primi posti tra i sistemi carsici di grande sviluppo planimetrico. Da qualche tempo il Parco Regionale delle Alpi Apuane ne ha attrezzato un breve ma suggestivo tratto rendendolo visitabile a tutti. Da allora Levigliani è diventato meta di migliaia di visitatori, tent’è che per poter visitare l’Antro è obbligatorio prenotarsi con largo anticipo. Nel corso degli anni, all’interno della montagna, sono stati percorsi ed esplorati circa 40 km di gallerie d’ogni tipo e dimensioni. Nonostante ciò il mondo sotterraneo racchiuso dentro il Corchia non è stato ancora completamente conosciuto. L’Antro, messo in luce da un taglio di cava, è stata esplorata dagli speleologi per la prima volta nel 1841. Altre grotte si aprono però sulle pendici di questa montagna: la Tana dei Gracchi, La Buca dell’Uomo Selvatico, la Buca del Cane, l’abisso Claude Fighiera divenuto tale solo nel 1976 benché fosse noto fin dal 1929 poiché una frana impediva l’accesso agli speleologi.








Con questo termina la carrellata sulle "nostre Apuane" ma non potevamo concludere senza ricordare quell’immensa tragedia che è stata l’alluvione che ha spazzato via il paese di Cardoso il 19 giugno 1996.

Riportiamo stralci di alcuni articoli apparsi sulla stampa locale e nazionale, da soli possono dare una chiara idea di quanto successe quel giorno maledetto.

 

 

Nella prima mattina c’era già stato l’allarme per alcune frane verificatesi nel versante di Mulina e Pomezzana. Invece a Volegno, Pruno e Cardoso, non erano stati segnalati problemi degni di nota. La situazione è nettamente peggiorata dopo mezzogiorno. Più minuti passavano e più aumentava l’intensità della pioggia. Chi conosce Volegno sa che dalle sue case e dalla piazzetta si vede nitidamente il versante versiliese della Pania della Croce e in particolare la parete sud-ovest comprendente, tra gli altri, il "canale dei Carrubi". Nonostante la distanza, si vedeva una gran massa d’acqua precipitare dagli strapiombi e nei canali. La Pania appariva come un’impressionante montagna d’acqua.

( La Nazione )

Sopra Cardoso, sulle pendici della Pania, del Corchia, del Forato, si vedono i segni dell’aggressione. Sembrano unghiate, lasciate da un mostro gigantesco che si è portato via pezzi di montagna, raschiando la vegetazione come una pelle sottile e mettendo a nudo il derma fatto di terra, marmi e scisti: gli alvei di antichi fiumi sono tornati alla luce dopo migliaia d’anni. E’ come se il tempo, quello geologico, avesse fatto un balzo all’indietro. Terra, sassi, alberi e acqua hanno iniziato a rotolare a valle spinti dalla pioggia, 470 mm caduti in 12 ore. Dieci, venti, trenta, un numero imprecisato di frane si sono staccate dalle pendici dei monti, a 50-100 metri di distanza l’una dall’altra. Giù tutte insieme per riunirsi, più a valle, in tre canaloni principali: il Versilia, la Capriola e il Deglio, tra Monte Forato, Pania e Corchia. Così è stato aggredito Cardoso, in tre punti diversi, due al centro e uno a valle del paese. La natura ha ripreso l’aspetto che doveva avere millenni fa. (…)

( Il Tirreno )



<< Ecco siamo arrivati >>, dice il pilota. Fa qualche giro con l’elicottero, sorvola su tetti spezzati, letti sfatti, tavole per metà apparecchiate, avanzi di case tagliate a metà da un lama di fango, acqua e detriti. Scende su una piana di ghiaia attraversata da un torrente. E’ tutto grigio, cielo e terra. Giù aspettano mucchi di stracci che tengono in mano sacchetti di plastica. Sono gli abitanti di Cardoso, un paese che non c’è più. Sono seduti su tronchi di albero. L’unica cosa che hanno pulita sono gli occhi. Azzurri, fieri, gli occhi della gente apuana. Stanno in silenzio la testa tra le mani. Qualcuno stringe una corda che fa da guinzaglio, i cani s’infilano nelle gambe dei padroni. Questo è tutto quello che rimane di Cardoso, frazione di 300 abitanti, un gruppo di case pigiate in fondo alla valle del Vezza, aggrappate alla scarpata, ultimo avamposto prima del crinale che porta in Garfagnana.

( La Repubblica )



Lassù il Monte Forato, la cima apuana più famosa e conosciuta da chi ama la montagna: un’incredibile formazione rocciosa con un buco in mezzo dal quale si vede il cielo. Cardoso stava lì, ai suoi piedi, da oltre 400 anni, riservato ed orgoglioso come la sua gente, silenzioso. Costruito attorno alla seicentesca chiesa che si affacciava sul torrente, oltre quella strada che non c’è più, la torre (costruita nel 1700) sovrastava le poche case di pietra. Il campanile, costruito insieme alla torre, adesso si erge nero e cupo su quanto rimane del paese: due tetti sfondati, qualche parete ancora in piedi. L’ultimo viaggio in elicottero ha portato su i volontari che vogliono capire se sotto i detriti che sono ormai la strada sui tetti di Cardoso, ci sono ancora dei corpi. Poi, ancora una volta, la caratteristica di questo posto che non verrà mai dimenticato sarà il silenzio e le sue pietre grigie.

( Il Giorno )

 

Ponte Stazzemese è un colpo al cuore. Irriconoscibile. La piazza principale, proprio dove c’è il palazzo del Comune di Stazzema, non esiste più. E’ un buco enorme di fango. Fermi la gente che ti spiega com’era prima. Un paio di giorni fa. Sembra un secolo. Dove c’era lo studio del dentista adesso sembra un magazzino di legnami. La forza del fiume lo ha riempito di centinaia di rami e tronchi.

( L’Unità )

 

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