Superstizioni che sarebbe logico ritenere
relegate nei ricordi sono invece ancora presenti tant'è che alcuni anni
orsono si scatenò un'accanita caccia al "Buffardello", un folletto dispettoso
ma buono che qualcuno asseriva di aver notato aggirarsi per le strade
di un paesello. Chiamato anche Baffardello viene spesso identificato
col folletto della tradizione lucchese, il Linchetto, anche se ne distingue
per alcune caratteristiche. E' un vecchietto di piccola statura, dalla
barba bianca, vestito di rosso che si presenta agli umani come un animale
selvatico, un uccello notturno ma molto più frequentemente come un mulinello
di vento che scompiglia tutto. Il regno del Buffardello è la notte quando
penetra nei casolari e intreccia inestricabilmente le code di cavalli
e vacche, oppure toglie ogni notte il fieno ad una bestia per darlo
ad un'altra, fino a far deperire la prima, oppure beve il latte delle
mucche e il vino delle cantine. Nelle case invece nasconde gli oggetti,
ingarbuglia la lana da tessere; ma è in camera da letto che diventa
veramente dispettoso: tira le coperte, scopre e fa il solletico ai dormienti;
fa dispetti ai giovani sposi, disturbando la loro intimità.
Alle vecchie che dormono siede sul
petto rendendo difficoltoso il respiro (un'arcaica spiegazione
dell'asma?), e la sua risata sarcastica risuona fino all'alba.
In Garfagnana la tradizione del Buffardello è molto radicata tant'è
che alcuni usano ancora oggi apostrofare chi si presenta con la
pettinatura arruffata con la frase: sembra che ti abbia pettinato
il Baffardello! I rimedi per liberarsi del Buffardello sono due:
appendere alla porta di casa un rametto di ginepro con molte bacche
o disseminare la camera da letto di scodelle piene di farro o
fagioli. Il Buffardello per una strana malia sarà costretto a
contare le foglioline di ginepro o i chicchi che inevitabilmente
avrà versato sul pavimento, ma scapperà subito via indispettito
perché non sa contare. Nei casi disperati si dovrà mangiare una
fetta di polenta e formaggio seduti in bagno facendo i propri
bisogni, Il Buffardello schifato fuggirà e non si farà più vedere.
Leggende popolari riguardano anche la presenza di animali di derivazione
mitologica sulle nostre montagne |
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tant'è che nel 1989 qualcuno segnalò a più riprese la
presenza di un drago che, sputando fuoco, aveva fuso le canne del fucile
a un cacciatore che cercava di colpirlo. Ovviamente tutti davano per
certe queste notizie, ma sempre per sentito dire, e mai fornendo testimonianze
dirette. Da riallacciare alle antiche storie sull'esistenza dell'"Uomo
Selvatico", essere primitivo dall'indole mite che insegnava il mestiere
ai pastori e ai contadini, sono i ripetuti avvistamenti della metà degli
anni 70 di un essere vestito di pelli che si aggirava tra i boschi.
Nessuno riuscì mai ad incontrarlo ma dato che si rifugiava spesso in
capanne abbandonate numerose sono le tracce che lasciava. Uno squilibrato,
un ricercato in fuga o qualcuno che voleva mettere alla prova le sue
doti dopo aver frequentato un corso di sopravvivenza? Non lo sapremo
mai.
L'uomo selvatico, chiamato anche
uomo dei boschi, era descritto come un uomo robusto con folta
capigliatura, barba incolta, statura elevata, ricoperto di peli,
in più occasioni armato di un grosso bastone. Veniva descritto
come un essere maldestro, un po' goffo ma nello stesso tempo capace
di imprese dove erano necessari una notevole agilità ed una forza
considerevole. Era considerato il primo abitante della montagna
e maestro dell'arte casearia.La tradizione dell'uomo selvatico
è legata alla vita degli alpigiani, la sua area di influenza coincide
approssimativamente con la zona di influsso celtico: si racconta
che sia proprio l'uomo selvatico il maestro dell'arte casearia
che si diverte a tirare brutti scherzi agli alpigiani. L'uomo
selvatico abitava in grotte o in ripari sottoroccia, spesso inaccessibili
all'uomo civile; sulle nostre montagne la leggenda vuole che abitasse
le pendici del Corchia dove esiste una grotta chiamata appunto
"tana (o buca) dell'uomo selvatico". |
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Antiche superstizioni sono alla radice di una pratica
tutt'oggi ancora assai seguita: la pratica della segnatura. Con questa
pratica si curano il malocchio e varie situazioni di malessere, quali
la cefalea, il mal di denti, Il fuoco di S. Antonio e soprattutto i
porri, escrescenze cutanee che si formano sul dorso delle mani. A praticarla
sono generalmente donne anziane che si dicono dotate di poteri soprannaturali;
è composta da una parte gestuale, che consiste nel tracciare con le
mani o con un talismano particolari segni sulle parti malate, e da una
contemporanea parte verbale costituita dalla recitazione di formule
magiche. All'aspetto pagano della segnatura, si unisce quello cristiano
del segno della croce e da preghiere. Per malocchio s'intende la capacità
di procurare, volontariamente o involontariamente, danni di varia entità
a cose o persone attraverso una sorta di "energia negativa", energia
che viene gettata attraverso lo sguardo, da cui la parola malocchio.
L'origine della superstizione legata al malocchio sembra perdersi nell'antichità;
già nell'Antico Testamento se ne fa menzione, così come nella cultura
romana in cui il tema del fascinum (così chiamavano il malocchio) era
universalmente diffuso.
Dalle antiche tradizioni trae origine lo spettacolo del "Maggio", diffuso
un tempo ovunque, oggi sopravvive solo in alcuni luoghi grazie all'impegno
profuso da alcuni studiosi ed appassionati per salvare alcuni degli
aspetti più caratteristici della cultura popolare. Si tratta dell'evocazione
delle gesta dei paladini attraverso la recitazione cantata di composizioni
poetiche spesso create dagli stessi attori improvvisati. Trae certamente
origine dagli antichi riti agresti celebrati in primavera allo scopo
di propiziare la fertilità del territorio, l'inizio dello spettacolo
con l'ingresso processuale dei maggianti ne è la traccia più evidente.
Un tempo rappresentava la lotta tra inverno e primavera ma attualmente
i contenuti si sono storicizzati e la lotta è tra turchi e cristiani
o tra ricchi e poveri, anche se rappresenta comunque sempre, l'eterna
lotta tra il bene e il male con la scontata vittoria del bene. Il "maggio
garfagnino" è l'unico a non essere contaminato dal teatro colto conservando
tutti gli elementi di arcaicità.
![](maggio.jpg) |
Si celebra all'aperto nelle piazze
dei paesi o in radure nei boschi, senza scenografia, con solo
due arredi per simboleggiare le due corti: i buoni e i cattivi.
Il pubblico generalmente si dispone tutto intorno ai maggianti.
I costumi, quasi sempre gli stessi qualunque sia la vicenda narrata,
sono generalmente realizzati dai maggianti stessi e si limitano
all'essenziale; generalmente vengono indossati su abiti normali.
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Ricchi di colori e di lustrini, sono costituiti da spade
finte, elmi con cimiero, corone di latta. Lo spettacolo è tutto cantato
e accompagnato dalla fisarmonica, dal violino o dalla chitarra, o anche
da tutti questi strumenti insieme; il linguaggio è quello proprio dei
poemi cavallereschi del Rinascimento. Il Maggio rivive oggi come una
delle tradizioni più diffuse nell'a Garfagnana e nella vicina Lunigiana
e nel massese.
Tra le manifestazioni religiose in costume sono degne di menzione le
rappresentazioni della Passione di Cristo che si svolgono lungo le strade
dei paesi ai lati delle quali vengono allestite le scenografie. La tradizione
medievale delle sacre rappresentazioni della Passione di Cristo,rivive
in alcuni centri del comprensorio Apuano.
Gli attori sono sempre impersonati
dai paesani vestiti con costumo che riproduco gli abiti dell'epoca;
vengono allestiti gruppi scenografici della Via Crucis, che fanno
da sfondo alla lettura e meditazione del dramma della Passione.
Durante il percorso vengono rappresentate scene della passione,
la manifestazione si conclude con la crocefissione che solitamente
avviene su un colle o nei pressi di un eremo. La particolarità
di queste manifestazioni consiste nel fatto che spesso Cristo
è impersonato da un vero penitente che procede sotto il
peso della croce. La Via Crucis è una devozione popolare nata
a Gerusalemme, con l´intento di proporre alla meditazione gli
eventi drammatici della Passione di Cristo . I pellegrini della
Città Santa potevano ripercorrere il cammino doloroso del Redentore
sostando in quattordici tappe dette stazioni. A partire dal XV
secolo tale rito fu introdotto anche in occidente ad opera dei
Francescani; uno dei maggiori apostoli della sua diffusione fu
San Leonardo da Porto Maurizio, che agli inizi del Settecento
predicò anche in Lucchesia. |
![](crocef.jpg) |
In tempo di Pasqua le chiese di Lunigiana, anche quelle
isolate di montagna, preparano i "sepolcri" del giovedì santo: altari
adorni di vasi di granaglie cresciute al buio. I più eleganti, ricchi
di damaschi, ori e argenti si possono trovare nelle chiese di Pontremoli
al seguito dei confratelli della Misericordia, vestiti con rigorosa
cappa nera.
E' tradizione antica anche allestire il Presepe animato
in occasione del Natale per ricordare la nascita di Gesù. Col trascorrere
degli anni è maturata una grande passione per i presepi e per l'arte
di creare scene quanto più curate possibile riguardo al mistero avvenuto
2000 anni fa.
![](presepe.jpg) |
Gruppi di volontari, ma spesso interi
paesi, realizzano personalmente gli elementi scenografici gli
oggetti principali: la grotta, le case dei popolani, le figurine
di alcuni personaggi e la costruzione di alcune scenografie può
richiedere tempo, oltre al tradizionale periodo natalizio, fino
a diventare l'impegno di tutto un anno. Le statuine si muovono
indipendentemente, spesso azionate da un unico motore elettrico
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collegato alle statuine con centinaia di pulegge e cinghie.
Il presepe richiede una continua ed attenta manutenzione e ogni anno
vengono apportate piccole modifiche e migliorie. Non manca un complesso
impianto idraulico che alimenta fiumi e laghetti, il tutto sapientemente
illuminato dall' effetto giorno e notte, sempre più spesso gestito da
congegni elettronici, che simula magistralmente il sorgere del sole,
la luce del giorno e l'affievolirsi della luce al tramonto mentre si
accendono le luci nelle case. Ogni anno, la sera della vigilia di Natale,
a Pruno di Stazzema, si vive la magia del Natale. Il paese, incastonato
tra stupende montagne, mantiene un impianto urbano nettamente medioevale,
particolarmente evidente nell'arroccamento centrale a torre, e impreziosito
da vecchi edifici che hanno conservato le antiche architetture, viene
illuminato da torce e popolato da centinaia di persone in costume. Si
rivivono i momenti della nascita di Gesù mentre nelle strette strade
di pietra vengono mostrati i mestieri ormai scomparsi dei secoli passati.
Alla rappresentazione collabora in prima persona l'intera Comunità.
Nel versante massese delle Apuane è assai diffusa la tradizione
degli zampognari che la sera della vigilia di natale passano di casa
in casa, con angeli al seguito, per gli auguri. Una tradizione che va
scomparendo è quella del ponce della vigilia di Natale. Dopo la cena
che tradizionalmente consiste in cavolo nero lessato e baccalà, la famiglia
si riunisce davanti al caminetto dove arde un bel ciocco per bere il
ponce. Un tempo c'era l'usanza di andare in giro per il paese in gruppi
di amici per bere il ponce nelle rispettive abitazioni. Un bricco di
caffè e uno di latte, e anche una bottiglia di cognac (magari Tre Stelle)
e una di sassolino per il ponce al latte (latte ben calco, alcuni cucchiaini
di sassolino e zucchero) non mancavano.
Le Feste di Natale si concludono con l´Epifania. La befana (che è corruzione
di Epifania, cioè manifestazione) è nell'immaginario collettivo un mitico
personaggio con l'aspetto da vecchia che porta doni ai bambini buoni,
e carbone a quelli cattivi, la notte tra il 5 e il 6 Gennaio. La sua
origine si perde nella notte dei tempi, discende da tradizioni magiche
precristiane e, nella cultura popolare, si fondo con elementi folcloristici
e cristiani: la befana porta doni in ricordo di quelli offerti dai magi
a Gesù bambino. L'iconografia è fissa: un gonnelline scuro e ampio,
un grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio
in testa, un paio di ciabatte consumate, il tutto vivacizzato da numerose
toppe colorate e una scopa di saggina con cui vola, come mezzo di locomozione
per volare sui tetti e gettare doni attraverso il camino, oppure la
notte dell'Epifania scendere fino in casa e lasciare i doni richiesti
dai ragazzi buoni.La sera dopo cena i ragazzi erano soliti mettersi
vicini, vicini, al camino e chiamare la befana con una filastrocca che
diceva così:"o befana, o befana, sei una dama, sei una sposa tirami
qualcosa!". Mentre loro guardavano speranzosi il buio della canna fumaria
i genitori lanciavano manciate di dolciumi e qualche mandarino, assai
raro e apprezzato, sul pavimento. Potete scommettere qualsiasi cosa
che nessun bambino si è mai accorto che i dolcetti non cadevano dal
camino tanta era l'attenzione. La vigilia della festa i bambini preparavano
un fascetto di fieno per il miccio della befana, in quei giorni era
particolarmente indaffarata e la scopa non era più sufficiente, lo deponevano
vicino al camino e andavano a letto presto. Le mamme provvedevano allora
a sfare il fieno eliminandone un poco per far credere ai figli che il
miccio aveva gradito e preparavano poi un grosso cesto pieno di befanini
e dolcetti vari che sistemavano vicino ai regali. Il giorno della befana
per tutto il paese era una festa di ragazzini coi loro giocattoli nuovi.
E, purtroppo, anche per il broncio di qualcuno che essendo stato cattivo
aveva ricevuto solo del carbone.
![](befana.jpg) |
Si rifà al suo apetto la filastrocca
(Befanata) cantata in suo onore: La Befana vien di notte, con
le scarpe tutte rotte, un cappello alla romana, viva viva la Befana.
La sera del 5 gennaio in tutto il comprensorio si svolgono numerosissime
"Befanate", cortei di persone che dietro una Befana, spesso seguita
dal Befano con l´asinello, percorrono le strade dei paesi, facendo
sosta davanti alle case per intonare canti augurali o sestine
satiriche e portare doni ai bambini. A loro volta i befani ricevono
il dono dei caratteristici dolci detti "befanini", o di offerte
da destinare a scopi benefici e umanitari. Nell'ambito della religiosità
popolare l'Epifania rievoca la venuta dei Re Magi. In alcune località
è ancora viva la tradizione del falò; lo sfondo della festa ha
assunto un carattere religioso propiziatorio legato al culto della
madre terra, quasi un rito di scaramanzia, testimone della paura
e dell'amore dei contadini verso la terra che può essere buona
o malvagia. |
Da un rogo si traevano auguri e auspici riguardo il
nuovo anno. Dopo aver preparato una pira in mezzo al campo, sostenuta
da grossi pali, vengono su essa accostati fasci di sterpi, ben pressati
poi a forza di piedi per evitare che, dopo l' accesione, il falò possa
provocare danni. La befana ha radici lontanissime nel tempo e i rituali
ad essa legati non hanno mai perso importanza e in questa tradizione
tutti ritrovano il sapore del loro passato.
Una tradizione oramai scomparsa è quella della gazzarra durante le
processioni solenni. Probabilmente, visto che si maneggiava un buon
quantitativo di polvere pirica, hanno contribuito le difficoltà burocratiche
per i permessi. La gazzarra era una lunga sequenza di scoppi di mortaretti
sistemati lungo strade di periferia che terminava con lo "strepito"
, lo scoppio in rapidissima sequenza di un gran numero di mortaretti
che terminava col gran botto finale dell'apposito mortaretto gigante.
La preparazione dei mortaretti durava ore ed era piuttosto pericolosa;
si iniziava frantumando la polvere pirica venduta in grossi grani,
ad operazione terminata venivano riempiti i mortaretti e tappati "borati"
con stoppacci di carta pressati con martelli di legno per evitare
qualsiasi scintilla (immaginatevi le conseguenze!). Quando tutti i
mortaretti erano caricati venivano trasportati, e pesavano assai,
sul luogo della gazzarra e sistemati stabilmente sul terreno ad una
certa distanza in modo che tra uno scoppio e l'altro passassero alcuni
secondi. Erano uniti tra di loro da uno strascico di polvere pirica
che una volta accesa portava la fiamma lungo tutto il percorso facendo
scoppiare, in sequenza, tutti i mortaretti. Era gran vanto di tutto
il paese una gazzarra ben riuscita, mentre se un certo numero di mortaretti
no scoppiava, o se lo strepito non riusciva, era motivo di pesante
frustrazione. La cerimonia terminava con le campane che suonavano
a festa.
Un'altra tradizione che oramai è praticamente scomparsa è
quella dell'incembolata era una tradizione diffusa in tutta l'Alta
Versilia e oltre; quando due vedovi si risposavano, ma frequentemente
anche quando erano due sposi novelli, un gruppo di persone munite
di barattoli, tamburi, trombette, coperchi e qualunque attrezzo utile
a fare baccano, si riunivano sotto le finestre dei malcapitati quando
stavano riposando. Iniziavano a fare un gran fracasso e periodicamente
cantavano brevi composizioni estemporanee dirette agli sposi (strambotti).
Il fracasso naturalmente attirava altra gente e il gruppo aumentava;
e se i malcapitati sposini non uscivano ad offrire da bere la festa
si ripeteva anche la sera successiva. Stavolta però il gruppo e il
fracasso aumentavano e il tutto durava fino a tarda ora. Se non uscivano
ancora l'incembolata si ripeteva per la terza sera, più rumorosa,
numerosa e lunga che mai. Dopo la terza sera, anche se gli sposi non
uscivano ad offrire da bere, la festa si concludeva comunque.
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