Dopo
l'iconoclasta Twight e l'anarchico Karl è la volta di Paul Pritchard,
lo scalatore disoccupato per antonomasia che si mantiene col sussidio
statale. Per molti solo un parassita sociale, ma un geniale narratore
che con la sua prosa veloce e trasgressiva narra le sue avventure
verticali caratterizzate da notevoli ripetizioni, prime ascensioni
e talvolta semi-sconfitte sul filo della morte, dal Regno Unito
alla Patagonia, dallo Yosemite all'Isola di Baffin. Vincitore
con questo libro del prestigioso premio Tasker-Boardman di letteratura
di montagna Pritchard giustifica l'investimento statale con un
resoconto eloquente e avvincente delle pressioni e delle ricompense
dell'arrampicata moderna. «Letteralmente spompato, rimango a penzolare
come una bambola di pezza, a contemplare l'inevitabile per alcuni
lunghissimi secondi. Non grido nulla a Glenn, mi spingo via dalla
roccia per evitare una brutta caduta. Non ho tanta paura, ho infilato
parecchie protezioni; ma non so perché inizio a prendere velocità.
Un orribile flash: che i camelot non abbiano tenuto? Mi preparo
a volare più lungo. Nella totale confusione sento che rallento
impercettibilmente e quasi mi rilasso. Poi riprendo velocità.
Istintivamente, come altri animali, mi preparo ad atterrare sui
piedi. Dieci protezioni saltano via dalla roccia. Finisco in cima
a uno spuntone affilato che affiora dalla base degli scogli di
Zawn e, nell'impatto, la mia caviglia destra va in pezzi». |