LA
PICCOZZA: lo strumento che fa più alpinista
Dal Similaun alla piolet-traction, la storia d'un semplice bastone compagno di viandanti e pastori |
||||||||
Dalla travagliata
gestazione balza fuori la piccozza moderna: pesa sui due kg e la tiene
a battesimo un compare d'eccezione, l'inglese Edward Whymper. Viaggio
inaugurale: la prima sul Cervino. Assurta a immagine di conquista, seduce
i trovatori della nuova Italia. A Courmayeur Giosuè Carducci la trasfigura
in arma, celebrando l'epico duello con la montagna del grande Emilio Rey,
caduto sul Dente del Gigante: "Spezzato il pugno che vibrò l'audace picca.…".
Dalla bassa romagnola ne fa simbolo di ardimento Giovanni Pascoli: "Con
la piccozza d'acciar ceruleo - su sempre spezzandoti o gelo!". Gli farà
eco l'imaginifico, Gabriele d'Annunzio, nella "Canzone a Umberto Cagni",
esploratore polare: "La volontà spietata che ti facea lo sguardo - come
il taglio della piccozza".
I compatrioti di Whvmper,
inventori dell'alpinismo, sono invece restii ad accettare i ramponi. che
hanno da poco sostituito le antiche grappette a quattro punte. Farà eccezione
l'ingegnere alpinista Oskar Eckenstein, che a Courmayeur convince il fabbro
Henry Grivel a forgiare un prototipo a 10 punte e organizza, tra i seracchi
del ghiacciaio della Brenva, la prima competizione di guide e portatori
"cramponneurs" (ramponisti). Siamo nel 1912. Grivel - genio e trascuratezza
- non riesce però a far brevettare il modello perché il disegno originale
è stato rosicchiato dai topi. Nel 1929 un'accorta intuizione del figlio
Laurent aggiunge frontalmente due denti che, trafiggendo orizzontalmente
il pendio, consentono di arrampicare... in punta di piedi e senza torcere
le caviglie: è nato il rampone a 12 punte. I francesi torcono il naso:
le loro caviglie, dicono sono ben articolate e la tecnica frontale fa
un pò di anticamera. La piccozza, esonerata dalle faticose incombenze
della gradinatura, ringrazia e tira il fiato: si apre la strada all'alpinismo
senza guida. L'alpenstock non è ancora scomparso e sui monti della prima
guerra mondiale viene persino messo in musica: "Il pistocco che noi portiamo
- e il pagadebiti di noi alpin". Negli anni fra le due guerre la paletta
della piccozza si accorcia e la becca mette la dentiera; il legno dei
manici verrà gradualmente sostituito con leghe leggere nei primi anni
Settanta. Col nuovo look compare sempre più spesso sugli schermi cinematografici.
A Chamonix, durante la proiezione di un film, quando l'intrepido protagonista
si frattura una gamba e col ginocchio sano spezza il manico di legno per
steccare l'arto, dalla platea si alza la voce di una guida: "Il nome del
fabbricante, per favore!". Non è invece fiction la scena sanguinosa che
si svolge il 20agosto 1940 a Città del Messico, protagonista la piccozza
a manico segato con la quale un sicario di Stalin, con un sol colpo vibrato
al capo, stronca la vita dell'esule politico Leone Trotzki, la più ostinata
spina nel fianco del despota sovietico. A lieto fine, invece, l'avventura
vissuta in Kenya da tre soldati italiani, due dei quali alpini, internati
in un campo inglese. Per combattere la sindrome da filo spinato, sottraggono
dal magazzino due robusti martelli a penna lunga e, dopo averli impiegati
per fabbricarsi tre paia di rudimentali ramponi li muniscono di manici
con puntale e con quelle piccozze... da terzo mondo, evadono scalano il
monte Kenya (5201 m.) rientrano al campo due settimane dopo, complimentati
dagli inglesi e ignari di aver anticipato di un ventennio l'invenzione
del martello-piccozza. La piccozza valdostana mantiene la linea tradizionale
fino a metà anni sessanta. La impugnano il neo-zelandese Edmund Hillary,
primo sull'Everest nel 1953 e, l'anno successivo, Achille Compagnoni e
Lino Lacedelli sul K2. Oggi i manici di legno non sono ancora tramontati.
C'è chi non li considera romanticherie del passato: trattati al carbonio,
vengono messi in lavorazione a richiesta e competono per robustezza con
i modelli più recenti, ma con un tocco di fascino in più. Per l'Adunata
nazionale ANA (Associazione Nazionale Alpini) di Aosta è stato proposto
un elegante esemplare, con penna e nappina in rilievo su sfondo roccioso.
Ma l'idea era indovinata, attecchì e mise in moto una reazione a catena: oltre la becca con lama "a banana", che garantisce un ancoraggio di assoluta fiducia, viene inarcato anche il manico, a vantaggio di una presa più sicura ed efficace. Pochi anni dopo le varie componenti dell'attrezzo vengono rese modulari, sostituibili in caso di logorio e intercambiabili (già anni fa un modello pluriuso fungeva da piccozza, bastone, sonda, bastoncino da sci,...ombrello).
|
||||||||
Autore: Colonnello Umberto Pelazza - Articolo pubblicato sulla rivista "L'Alpino" maggio 2004 (autorizzazione concessa) |