La catena deve l’origine del
nome agli antichi abitatori della zona: i liguri apuani. Solo all’inizio
dell’800, però, l’attuale denominazione è entrata nel linguaggio scientifico;
prima d’allora erano conosciute come "le Panie". Dal punto di vista
geologico la catena si differenzia nettamente dall’Appennino; a questo,
e al fatto che le bianche immagini marmoree della catena vista in lontananza
appaiono come i grandi ghiacciai alpini, è dovuto il nome "Alpi". Nella
massa marmorea è racchiusa anche la storia della formazione di queste
montagne risalente a circa 30-35 milioni di anni fa. Da un’antica fossa
marina dov’è avvenuta la sedimentazione calcarea nel miocene inferiore,
si è sollevata l’intera ruga apuana precedendo di poco il sollevamento
del vicino Appennino. In questa fase è avvenuto il metamorfismo che
ha originato la ricristallizzazione dei sedimenti calcarei formando
così il marmo: i calcarei bianchi hanno originato il marmo statuario
mentre quelli impuri hanno originato i marmi venati.
Un’antica
leggenda narra che Dio fosse così orgoglioso del suo capolavoro da
creare, più tardi, un gigante di nome Aronte a cui assegnò il compito
specifico di difendere il suo operato dall’assalto dei rivieraschi.
Aronte, infatti, tenne fede alla consegna e per punire i cavatori
che avevano osato sfidarlo, aprendo le prime ferite nei fianchi delle
sue protette, scese verso il mare e ne assoggettò gli abitanti malgrado
la strenua resistenza dei potenti esseri marini che si vedevano minacciati
dalla sua discesa a valle. Purtroppo, però, durante l’impresa s’innamorò
di una giovane senza esserne ricambiato. |
|
Disperato
fece ritorno tra le sue fide montagne dove poco dopo morì di dolore. Queste,
impietosite, lo seppellirono al Ravaccione, in quello che oggi per ironia
della sorte è il più grande bacino marmifero del mondo. Per solidarietà
col gigante tutte le Apuane, da quel giorno in segno di inimicizia per
il mare e le sue genti, volsero alla riviera le loro pareti più aspre
ed impervie ad eccezione del Procinto e del Pizzo d’Uccello. Il Pizzo
d'Uccello perché essendo più lontano apprese in ritardo la storia quando
aveva già schierato la sua invalicabile bastionata verso nord per difendersi
dalle incursioni dei barbari. Il secondo perché aveva egoisticamente preferito
mantenere la sua strapiombante parete est a protezione della propria incolumità
nel timore che il pauroso appicco del Nona, proseguendo, potesse rovinargli
addosso. D’altronde il Procinto da vero ribelle se ne sta sul suo zoccolo
raggelante, arcigno e strano, mentre nello stesso tempo ti attira e ti
respinge. Tutte le montagne hanno due facce, pochissime tre: solo lui
ne ha quattro, una per ogni punto cardinale anche se a guardarlo assomiglia
ad un panettone e le sue facce spariscono.
E’
la contraddizione di se stesso. E’ comunque in buona compagnia seguito
com’è dai tre suoi satelliti: il Piccolo Procinto, Bimbo Fasciato
e Bimba o Ignorante. Nelle Apuane si rivela in maniera massiccia il
fenomeno carsico, come nella grotta del vento che si snoda per alcuni
Km in un percorso costellato da affascinanti concrezioni calcaree,
situata nel massiccio delle Panie. |
|
Tra
i fenomeni più evidenti vanno annoverati anche l’Antro del Corchia, profondo
840 m, l’Abisso Enrico Revel definito la seconda "verticale unica" del
mondo, con una profondità di 300 m senza alcun ripiano; l’Abisso Marcel
Loubens profondo 405 m, la Buca e la Tecchia di Equi, ed altre. Dove i
monti si protendono verso il cielo con vette strapiombanti non poteva
essere assente l’alpinismo. Anche se qui ha avuto inizio con un certo
ritardo ha tuttavia una tradizione centenaria. Il Procinto è stato scalato
da Bruni, Dinelli, Bertozzi, Vangelisti nel 1879 la Pania della Croce
nel 1883 da Freshfield e Devoussaund, e via via fino alla conquista sistematica
di tutte le pareti della catena su vie anche interamente di 6° grado.
Se oggi le Apuane sono così famose il merito è anche degli alpinisti che
hanno rivalutato per primi la bellezza di questa regione. Una volta i
villaggi erano formati quasi esclusivamente da cavatori; oggi vanno sempre
più assumendo l’aspetto di centri di villeggiatura. Ma tutt’oggi la zona
è ancora intatta e ciò fa si che sia meta ambita da chiunque sia alla
ricerca di esperienze a contatto di una natura affascinante e pura. Queste,
in estrema sintesi, sono le "nostre Apuane": montagne aspre per cavatori,
scalatori, escursionisti e capre (dopo la scomparsa di stambecchi e camosci,
che pur sempre capre sono). Sorelle minori delle grandi Alpi, ma in grado
di vincere il confronto con l’Appennino, catena di verdeggianti rilievi
per boscaioli, sciatori e pecore. La nostra panoramica inizia dalla zona
più nota della catena, le Apuane di Massa Carrara, nel regno dei monti
del marmo.
|
Basta
pensare al gruppo del Sagro dominante il settore nord-occidentale
della zona per immaginare una delle più belle architetture della catena.
Il confine del complesso massese-carrarese corre da nord a sud partendo
dal crinale del Pizzo Baldozzana fino al monte Grondilice, da qui
in direzione sud-est si snoda fino alla Tambura e al Sella per piegare
poi in direzione della costa toccando il Macina, il Pelato, la Focoraccia
e il Carchio. Le vallate si aprono in direzione di Massa-Carrara permettendo
un facile accesso e offrendo incomparabili scenari. L’imponente bellezza
della Tambura è raggiungibile da Resceto tramite l’impervia via Vandelli
che conduce al Passo Tambura. |
Ai piedi
del Contrario, dopo un marcato circo glaciale, si apre il Canale degli
Alberghi (Valle degli Alberghi) vallone scosceso in uno dei più selvaggi
e incontaminati scenari delle Apuane, incorniciato in alto da faggi secolari
e da carpini, in basso dalla tipica macchia mediterranea, da dove si ha
l’imponente veduta del Grondilice, Contrario, Cavallo e Tambura.
Sul fondo marmoreo l’azione delle acque provenienti dai sovrastanti ghiacciai
quaternari ha, in migliaia di anni, modellato le bellissime Marmitte dei
Giganti, ricche di acqua anche nei mesi estivi. Dagli Alberghi un sentiero
conduce ad una zona di cavità assorbenti al centro del canale dove si
trova una freschissima sorgente. Le Marmitte dei Giganti sono conche di
forma pressoché cilindrica, di dimensioni varianti dai pochi decimetri
a parecchi metri, scavate nella roccia dalla forza delle correnti d’acqua.
A partire da 15.000 anni fa, in corrispondenza con la fine dell’ultima
glaciazione, imponenti masse di ghiaccio in scioglimento originarono impetuosi
torrenti. La velocità di caduta delle acque e la quantità di detriti trascinati
li dotarono di un’elevata capacità erosiva, i detriti erano costituiti
da selciferi molto duri ed assumevano un movimento rotazionale a causa
della turbolenza delle acque. Agivano così contro le pareti scavando nella
roccia più tenera originando queste cavità dalle pareti levigate e sul
cui fondo si trovano ancora ciottoli arrotondati. Esemplari bellissimi
si trovano anche sui versanti mare della Tambura e del Sella e nei fossi
che scendono dal versante meridionale del monte Sumbra. Da Carrara si
raggiunge Campo Cecina da dove si ammira uno dei più bei panorami delle
Apuane con vista sul Golfo di La Spezia, fino alle Alpi Marittime e se
il giorno è privo di foschia fino alla Corsica. Qui ha sede il grandioso
bacino marmifero che è considerato il maggior complesso di cave del mondo.
Diverso, ma forse ancor più suggestivo, è il versante settentrionale compreso
tra la vallata del Sagro e la valle del fiume Aulella. Si presenta più
aperto e di più agevole accesso. Sovrastate dal Pizzo
Nattapiana
e dal pizzo d’Uccello incontriamo Vinca ed Equi Terme, da cui un impervio
itinerario s’insinua nel"Solco di equi" e termina ai piedi dell’imponente
parete nord del Pizzo d’Uccello meta di ardite ascensioni. Numerosi sono
i rifugi e i sentieri nella zona. La massima vetta delle Apuane coi suoi
1946 m. è il Pisanino chiuso dalla dorsale del Baldozzana a nord, del
Pizzo d’Uccello ad ovest, il Cavallo a sud ed il Tombaccia ad est. La
sagoma piramidale lo rende sicuro ed inconfondibile punto di riferimento
raggiungibile sia dalla Garfagnana, attraverso la valle di Gramolazzo,
sia dalla Lunigiana tramite la carrozzabile per Minucciano. Dal fondo
valle è possibile ammirare l’imponente corona di vette dove permane la
neve fino a tarda primavera. E’ in questa valle che nasce il ramo apuano
del Serchio, il Serchio di Gramolazzo appunto, che nei pressi dell’abitato
forma l’omonimo lago nelle cui acque, dando luogo ad un classico paesaggio
alpino, si riflette la sagoma del Pisanino. Tra i gruppi circostanti troviamo
il Pizzo Altare, il Cardeto e il Pizzo Maggiore che congiungono il Pisanino
al Contrario e Cavallo. In quest’ambiente il richiamo per gli amanti della
montagna è fortissimo in virtù di queste superbe cime rocciose.
|
Proseguendo incontriamo il gruppo del Contrario e Cavallo delimitato
dal Passo delle Pecore (1600 m.) e dal Passo della Focolaccia (1650
m.), la Foce del Cardeto (1680m.) lo separa invece dal Pisanino. Il
monte Contrario s’innalza imponente alle spalle di Forno, tra la valle
di Orto di Donna a nord e i valloni che scendono verso il fiume Frigido
a Sud. |
Precipita a sud-ovest,
con una grandiosa parete di quasi 700 m. di calcari selciferi e di scisti
mesozoici che attrae alpinisti di ogni nazionalità. Il nome del monte Cavallo
deriva sicuramente dalla sua forma a gobbe; termina infatti con quattro
cime tondeggianti che raggiungono i 1895 m. Sono vette percorse da decine
di vie alpinistiche dove gli scalatori si cimentano in tutte le stagioni
su difficoltà che raggiungono anche il 4° grado superiore. L’interesse alpinistico
si è manifestato a partire dal 1894 col tentativo di A.Bruni. La prima ascensione
avvenne nel luglio del 1897 ad opera di D. e A.Dalgas seguita, nel gennaio
successivo, dalla prima invernale. Contemporaneamente Bozano, Galliano e
Stronello portarono a termine il primo percorso sommitale.
Successivamente sono
stati aperti tutti gli altri itinerari tra cui quello dal Canale Cambrone
che giunge sulla vetta a 1895m ad opera di L. e H.Amery con le guide Conti,
Zagonel e Pompanin nel 1912. I rilievi che si articolano intorno ai paesi
di Vagli ed alla Valle di Arnetola costituiscono le Apuane di Vagli. Sono
comprese tra la Tambura e i versanti nord del Sumbra e del Fiocca e la vallata
del torrente Edron. La zona offre dolci ed armoniosi panorami come il lago
di Vagli, paesaggi imponenti coma la Tambura e il Roccandagia sovrastanti
l’abitato di Vagli di Sopra o aspri come quello della Valle di Arnetola.
La Tambura (1890 m.), la terza vetta dopo il Pisanino e il Cavallo, è una
poderosa montagna di marmo a forma di tozza piramide a tre facce. Il "Nodo
della Tambura" formato dall’omonimo monte, dal Roccandagia e dal Tombaccia,
presenta una pianta a forma di perfetto arco circoscrive tutta la zona della
Carcarraia che offre ampi declivi ondulati in un ambiente carsico costellato
di doline. A quota 1642m, poco sotto il Passo della Focolaccia, si trova
il rifugio Aronte tradizionale base di partenza per le ascensioni alla vetta
della Tambura. La salita in sci della Tambura è oramai diventato un classico
itinerario dello sci alpinismo apuano. La Carcarraia, grande bacino nevoso,
caratterizza la Tambura come la cima più bianca delle Apuane. La prima ascensione
avvenne nel 1853 ad opera di L.Rutimeger e G.Inghirami ma la prima invernale
avvenne solo nel 1883 ad opera di Bruni, Vangelisti e Matteotti.
|
Il
versante orientale, con uno zoccolo roccioso di quasi 200 m. per il
suo grado di difficoltà e stato scalato, in invernale, solo nel 1963
da Sarperi e Severini. Con ben tre cime dalle forme ardite che si
protendono verso il cielo, completamente diverso dalla Tambura, è
il Roccandagia. La Cima Nord, la più alta, raggiunge i 1700 m. |
Il complesso domina la
conca di Campo Catino residuo di un antichissimo bacino glaciale. Anche
il Roccandagia è una grande palestra naturale per rocciatori che arrampicano
prevalentemente sulla Penna di Campo Catino, la Cima Nord-Est. Più a nord
troviamo il Tombaccia che appare solo se si è nella Valle di Gorfigliano
o se si supera il Passo del Giovo. Tutti gli elementi del sistema alpino
apuano sono racchiusi dalla Valle di Arnetola, profonda incisione che s’insinua
tra Tambura, Roccandagia e Monte Croce mettendo in comunicazione Vagli con
Arni e Resceto. Scendendo lungo il percorso del Serchio ci introduciamo
nel cuore della Garfagnana, una grande vallata dai caratteri decisamente
alpestri lunga circa 36 km. E interamente percorsa dal Serchio. Possiamo
quindi definire come Apuane della Garfagnana i gruppi vicini al corso del
Serchio, tra cui il più importante è certamente il gruppo delle Panie. Assieme
alla singolarità e all’imponenza delle forme, la caratteristica del gruppo
è data dal grande sistema carsico che l’interessa.
Il gruppo è sicuramente
il più famoso delle Apuane; in pianta è disposto a forma di L con al vertice
la Pania della Croce (1859 m.), all’estremità del contrafforte orientale
la Pania Secca (con i suoi 1711 m.è il miglior punto panoramico che si affaccia
sulla Valle del Serchio), e il Pizzo delle Saette (1720 m.) all’estremità
settentrionale con la sua struttura rotta da enormi speroni che culmina
arditamente con forma di torre mozzata. Anticamente chiamato Pania Ricca,
il Pizzo è stato salito per la prima volta da Bozano e Vangelisti nel 1898.
In mezzo si staglia l’inconfondibile "naso" dell’Omo Morto (1670 m.) che
visto in lontananza assomiglia in maniera sorprendente al viso di un "uomo
morto", appunto. Quasi completamente calcareo il massiccio si eleva a nord
con un altopiano carsico inciso dal vallone della Borra di Canala. Ma la
Pania non è dominio esclusivo dei rocciatori e
scalatori
perché le sue pendici consentono l’accesso anche ai semplici escursionisti.
La Pania della Croce, la "Regina delle Apuane" è la più celebre e famosa
vetta delle Panie, di antichissima conoscenza e ricordata da Dante nell’Inferno,
termina con una cresta quasi pianeggiante ed offre di se una visione stupenda
quando il tramonto ne accende tutta l’elegante e grandiosa struttura.
La testimonianza più evidente del fenomeno carsico è la Grotta del Vento
situata nei pressi di Fornovolasco ai piedi della Pania Secca. E’ aperta
ai turisti dal 1967; il visitatore attento è in grado di apprendere "dal
vivo" elementi di tettonica e geologia, quasi tutto sull’origine, l’evoluzione
e la fine delle grotte oltre che al complesso meccanismo che porta alla
formazione delle stalattiti e stalagmiti.
Le da
il nome la violenta corrente d’aria che a volte la percorre; la causa
va ricercata nella temperatura interna che è sempre di 10,5° C e negli
imbocchi situati a circa 1435 metri s.m. Si ha quindi una colonna d’aria
di oltre 800 metri che grazie alla differenza di temperatura tra "dentro"
e "fuori" sale o scende originando appunto il vento. All’estremità meridionale
del gruppo è situata la bifida vetta del Monte Forato (1223 m.) che pur
se di modesta altezza rappresenta un grandioso fenomeno di architettura
naturale. Deve la sua celebrità al foro naturale aperto nella cresta tra
le due punte. L’arco costituisce il Passo dell’Arco di Monte Forato con
una larghezza di 32 metri, un’altezza di 26 metri e uno spessore di 8
metri.
Una volta all’anno da Barga si vede il sole per tutta l’apertura dell’arco,
dopo che è tramontato dietro la cresta. Uno spettacolo altrettanto, se
non più suggestivo, è visibile una volta l’anno da Pruno quando il sole
sorge due volte. I raggi del sole illuminano una prima volta il grazioso
e antichissimo borgo attraversando il foro, per poi scomparire oscurati
dalla volta dell’arco e ricomparire, definitivamente, quando il sole compare
al di sopra della vetta. Passando al gruppo centrale incontriamo le Apuane
di Arni che si staccano nettamente dai complessi adiacenti poiché sono
interamente circondate dai monti e comunicanti solo attraverso la stretta
valle della Turrite Secca con la Garfagnana e attraverso la galleria del
Cipollaio col versante marino. Qui la vegetazione è scarsa,
in un
isola rupestre dominata dal Macina, il Fiocca, Il Sumbra il Pelato, l’Altissimo
e il Freddone disposti a formare una gigantesca U rivolta verso la Garfagnana.
Questi monti, che sono i principali del gruppo, si raccolgono tutti intorno
ad Arni (916 m.), punto di ritrovo per alpinisti ed escursionisti che
si preparano ad affrontare le impervie vie di questo grande complesso.
Dopo il Macina e il Fiocca si apre il Passo Sella (1500 m.), da esso partono
alcuni tra gli itinerari più spettacolari delle Apuane. Qui la tradizione
alpinistica è particolarmente forte essendo nata, con l’invernale del
Sumbra, nel 1884. Un interessante fenomeno carsico è dato dallo scomparire
e riaffiorare del torrente Turrite Secca, così chiamato proprio perché
in alcuni tratti prende la via sotterranea. Un altro aspetto notevole
è costituito dalla vallata dei Tre Fiumi, formata dalla confluenza della
Turrite Secca, dal Freddone e dal Canale delle Gobbie. Essendo una valle
chiusa le acque defluiscono solo per vie sotterranee. Visto dalla Versilia,
da dove si vede la sua imponente parete sud, il monte Altissimo (1589
m.) supera tutte le altre vette apuane. E’ reso famoso dalla presenza
di numerose cave da dove si estrae il pregiato marmo statuario. Il monte
Freddone (1487 m.), bella piramide a tre facce con creste rocciose, è
posto in posizione dominante sulla carrozzabile della Turrite Secca e
se ne riconosce la figura già da isola Santa procedendo verso Arni.
Imponente e bellissimo è il Sumbra con la sua inconfondibile "penna",
da cui il nome Penna di Sumbra (1765 m.) ben visibile anche dalla marina
e ricca di ardite vie d’arrampicata. Siamo così giunti alla conclusione
del nostro viaggio sulle Apuane con i gruppi che gravitano su Stazzema
e Seravezza. Attorno a Stazzema sono disposti, a formare un grande ferro
di cavallo, il gruppo del Procinto e il Matanna.
Il primo
costituisce un gruppo di torri, campanili e pinnacoli che non ha riscontro
in tutta la catena. Al di sopra di uno zoccolo cilindrico con pareti verticali
che superano i 100 metri si erge il torrione quadrangolare del Procinto.
Tra lo zoccolo e il torrione corre una bella cengia chiamata Cintura,
da essa si alza verticalmente per circa centocinquanta metri la sommità
del monte (1177 m.). Il Nona (1300 m.)è di aspetto completamente opposto,
con l’immenso lastrone calcareo strapiombante della sua parete Sud, è
situato proprio di fronte al Procinto. Parete ritenuta a lungo "impossibile"
è stata vinta solo nel 1966 dai fratelli E. e G. Vaccari solo grazie ai
chiodi a pressione. Il Matanna (1317 m.) risulta la maggiore elevazione
delle Apuane meridionali. L’Alto Matanna col relativo rifugio, un tempo
albergo, è meta frequentata di gitanti ed escursionisti fin dai primi
anni del secolo scorso.
E’
interessante ricordare l’iniziativa dei Barsi, padre e figlio, titolari
dell’Albergo Alto Matanna. La spiaggia versiliese in fondo non era
lontana,almeno in linea d’aria e sarebbe stato turisticamente interessante
creare un rapido collegamento mare-montagna. |
Da
prima, i Barsi, pensarono alla solita funicolare, poi pensarono al
pallone aerostatico, e infine al felice connubio dei due mezzi.Tendendo
un grosso cavo tra due stazioni di testa, si poteva far scorrere sul
cavo un carrello con appesa una navicella che sarebbe stata portata
fino al Matanna dalla spinta ascensionale del pallone. L’iniziativa
fu realizzata in breve con l’acquisto di un grosso aerostato di seta
gialla cui fu dato il nome di "Rosetta". Il 28 agosto 1910 avvenne
l’inaugurazione che ebbe un notevole risalto sulla stampa nazionale.
I viaggiatori venivano condotti in automobile fino alla "Grotta delle
Onde" dove passavano nella navicella dell’aerostato. Su un cavo metallico
lungo 800 metri raggiungevano la vetta del Matanna in poco più di
cinque minuti, sufficienti a dare l’emozione dell’avventura e a far
godere un suggestivo panorama. Nell’inverno, purtroppo, una forte
tempesta distrusse l’hangar dov’era stato alloggiato il Rosetta, strappò
il cavo, e segnò la fine della funicolare aerostatica. |
|
L’altra
grande montagna di questa zona è il Corchia (1677 m.), l’imponente massiccio
che domina Levigliani e tutta la valle del Canale delle Volte, tributario
del Giardino e, assieme a questo, del Vezza. Proprio da Levigliani parte
l’itinerario che conduce all’Antro
del Corchia, enorme cavità a concamerazioni e gallerie profonde 800
metri e dallo sviluppo complessivo di circa cinquemila metri, cosa che
lo pone ai primi posti tra i sistemi carsici di grande sviluppo planimetrico.
Da qualche tempo il Parco Regionale delle Alpi Apuane ne ha attrezzato
un breve ma suggestivo tratto rendendolo visitabile a tutti. Da allora
Levigliani è diventato meta di migliaia di visitatori, tent’è che per
poter visitare l’Antro è obbligatorio prenotarsi con largo anticipo. Nel
corso degli anni, all’interno della montagna, sono stati percorsi ed esplorati
circa 40 km di gallerie d’ogni tipo e dimensioni. Nonostante ciò il mondo
sotterraneo racchiuso dentro il Corchia non è stato ancora completamente
conosciuto. L’Antro, messo in luce da un taglio di cava, è stata esplorata
dagli speleologi per la prima volta nel 1841. Altre grotte si aprono però
sulle pendici di questa montagna: la Tana dei Gracchi, La Buca dell’Uomo
Selvatico, la Buca del Cane, l’abisso Claude Fighiera divenuto tale solo
nel 1976 benché fosse noto fin dal 1929 poiché una frana impediva l’accesso
agli speleologi.
Con questo termina la carrellata sulle "nostre Apuane" ma non potevamo
concludere senza ricordare quell’immensa tragedia che è stata l’alluvione
che ha spazzato via il paese di Cardoso
il 19 giugno 1996.
Riportiamo
stralci di alcuni articoli apparsi sulla stampa locale e nazionale, da
soli possono dare una chiara idea di quanto successe quel giorno maledetto.
|