Oggigiorno basta salire anche
una volta sola le Apuane per vedere qualche camion carico di enormi blocchi
di marmo scendere a valle sulla rete di strade che oramai collegano tutte
le cave, o sentire il rombo di qualche possente mezzo meccanico all’opera
in cava. Un tempo però le strade non esistevano, i mezzi meccanici erano
pochi e spesso inadeguati. Allora solo la fatica e l’arditezza di cavatori
e canapari permettevano ai blocchi di scendere a valle su ripidissime
e pericolose vie di lizza. In alcuni casi la tecnologia e la spregiudicatezza
dei progettisti portavano alla realizzazione di opere che sembrano tutt’ora
impossibili. Una di queste era la teleferica che con un lungo balzo consentiva
di portare i blocchi dalla cima della parete del Balzone fino nella valle
di Vinca nei pressi del Ponte di Monzone. Questa zona era un tempo importantissima
per l’estrazione del marmo del bacino del Sagro, prima che all’inizio
egli anni sessanta fosse costruita la carrozzabile che da Carrara conduce
a Campocecina che ha spostato verso Carrara tutte le attività estrattive
relative a questo bacino tutte il marmo estratto dal Sagro passava da
qui. Infatti fino ad allora i blocchi venivano caricati, insieme agli
autocarri, su una grandiosa teleferica costruita nel 1907 che dalla ripida
parete del Balzone affacciata sul vallone della Canalonga, li trasportava
600 metri più in basso nella vallata di Vinca. Era un impianto grandioso,
capace di trasportare solo 7 tonnellate di carico mentre i carichi maggiori
venivano trasportati lungo la via di lizza che è, poi, la méta del nostro
itinerario; nel 1930 l'intera struttura fu ammodernata e la portata aumentò
a venti tonnellate. La stazione di partenza della teleferica è ancora
visibile così come lo scivolo costruito sui bordi della parete: costituiscono
un'opera mirabile di tecnica ed audacia.
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La lizza del Balzone si
trova nel selvaggio vallone della Canalonga, raggiungibile dalla
strada che, in Lunigiana, da Monzone conduce a Vinca: ma come si
raggiunge Vinca? Anzitutto è necessario percorrere l'autostrada
della Cisa uscendo al casello di Aulla, per poi prendere la statale
63 del Passo del Cerreto; dopo aver percorso questa strada per circa
12 km. incontriamo un bivio presso cui bisogna svoltare a destra
sulla statale 445 in direzione Castelnuovo Garfagnana, Lucca, che
si percorre per altri 3,5 km. per poi svoltare a destra verso Gragnola,
attraversare questo paese dirigendoci verso Equi-Terme, Monzone.
Giunti a quest'ultimo paese si prende la strada per Vinca e dopo
averla percorsa per circa 4 km. Si parcheggia l'auto proprio nel
punto in cui la strada lascia il fondovalle prima di salire al paese
con una serie di tornanti in corrispondenza di un ponte di legno
che si trova sulla destra ad attraversare il torrente Lucido di
Vinca. |
L’idea dell’escursione nasce circa un anno fa quando arrivammo
a Vinca intenzionati ad arrampicarci sulla Nattapiana. Le condizioni meteo
non erano favorevoli così decidemmo di ripiegare su una sgambata per qualche
facile sentiero. Strada facendo però… noi uoeini siamo fatti così, se
non c’è un capo gita con la frusta ci lasciamo prendere la gamba! Cosi
saliamo in vetta al Monte Sagro, andiamo a vedere gli ometti di Punta
Tre Uomini (Puntone della Piastra) e… scendiamo lungo la lizza del balzone
e… ci facciamo pure 4 Km di strada asfaltata per tornare a Vinca! Tutto
questo però solo perché eravamo in pochi e non era un’escursione in programma,
ben inteso!!!! Ci pensiamo sopra un bel po’ poi la mettiamo in programma
con una variante, saliremo la lizza scendendo poi a Colonnata
per uno spuntino a base di lardo.
L’idea è buona e saporita ma… il percorso è troppo lungo perciò finiamo
per ripiegare sul ritorno a Vinca. Gia, troppo lungo. Se avrete pazienza
di leggere ancora! Partiremo da ponte di Monzone, saliremo la lizza per
imboccare poi il sentiero (segnavia 39) per raggiungere Vinca tornando
alla partenza usando le auto. Mmmmmm… si fa presto a dirlo! La lizza presenta
indubbie difficoltà, alcuni passaggi delicati, una ripidissima salita
che non molla mai col rischio costante di caduta di sassi dalla parete.
Senza contare i danni che il torrente Canalonga può arrecare ad ogni pioggia.
Informiamo i Soci delle difficoltà e alla partenza ci ritroviamo solo
in dieci, intenzionati a salire il Balzone ad ogni costo, si fa per dire
naturalmente. Alle 6,30 siamo puntualissimi davanti alla sede, solita
confusione per disporre le macchine che dapprima sono troppe ma poi qualcuno
resta appiedato, ovviamente in perfetto stile uoeino! Come inizio non
c’è male anzi, un classico. Questa sarà una giornata indimenticabile,
quando iniziamo così c’è sempre da divertirsi, massima attenzione ma assoluta
spensieratezza e libertà. Arriviamo a Ponte di Monzone alle 8,00, subito
il solito fiorentino fa “onfusione” per parcheggiare la macchina, Si,
si, avete letto bene, un fiorentino e pure del Mugello! Non pensate subito
male, fa parte da sempre del gruppo e purtroppo frequenta poco perché
come tutti i fiorentini è di una simpatia unica. Ponte di Monzone non
è una località, come dice il nome è un ponte sul torrente Lucido di Vinca
costruito dove la strada di cava che conduce al Balzone sbocca sulla carrozzabile.
Partiamo subito, vogliamo salire il più possibile prima che il sole inondi
il canalone.
Il primo lungo tratto è sulla strada di cava che sale
gradualmente fino al limitare del bosco, poi si inizia a salire su sentiero
segnato ma non numerato (solo segni rossi) fino ad incontrare il letto
del torrente. Questo è il tratto che ci preoccupa di più perché l’impeto
delle acque modifica frequentemente l’orografia, il tracciato è realizzato
alla meglio e potrebbe essere brutto. Con sorpresa notiamo subito i segni
di vernice rossa fatti da poco, significa che il sentiero è stato pulito
e sistemato. Quasi subito incontriamo ciò che resta della teleferica,
resti di manufatti e la grossa corda d’acciaio (circa 10 cm di diametro)
sono purtroppo tutto ciò che ancora rimane, ma almeno il sentiero resiste
permettendo di non dimenticare. Perdere questi musei a cielo aperto sarebbe
un peccato imperdonabile. Superiamo i primi tratti di torrente completamente
asciutto, la siccità ha fatto evaporare anche le ultime pozzanghere, preoccupandoci
un po’ per Giusy che potrebbe trovarsi in difficoltà. Invece con calma
e tenacia supera ogni ostacolo senza problemi. Con sorpresa notiamo che
chi ha ripulito il sentiero ha anche individuato un percorso alternativo
alla salita lungo il torrente, deviando nel bosco è stata eliminata la
parte più pericolosa. Si devono tuttavia superare alcuni passaggi su roccia
che richiedono massima attenzione rendendo il percorso adatto solo ad
esperti; non si deve dimenticare che stiamo salendo un traverso che taglia
una parete quasi verticale. La via di lizza è un’ampia cengia sapientemente
intagliata nella roccia. I primi metri sono ricoperti da un fitto tappeto
erboso ma poi è solo roccia e sole; tanto sole, reso ancora più caldo
dal riverbero della parete. Quasi ad ogni passo si vedono le tracce di
tante fatiche, rocce profondamente incise dallo sfregamento dei canapi
e blocchi di pietra magistralmente scalpellati per adattarli alle esigenze
di una così ardita realizzazione.
I tratti in ombra sono sempre più rari, bastano pochi
passi per salire di un metro, così guadagniamo quota rapidamente mentre
il panorama sulla Canalonga diventa sempre più mozzafiato. Le pareti delle
Torri di Monzone, frequentatissime vie di arrampicata, l’abisso che ci
troviamo davanti avvicinandoci al bordo della via e la parete del Balzone
che incombe strapiombante sono lo scenario in cui ci muoviamo quasi in
silenzio. Ci fermiamo per prendere fiato, lo sguardo cade casualmente
su alcune pietre che hanno un aspetto strano. Guardando meglio ci accorgiamo
che gli strani disegni della superficie sono dei fossili di piante acquatiche
venute in superficie quando l’innalzamento del fondo marino ha creato
le Apuane. Ci mettiamo tutti a spaccare pietre per portarci a casa un
ricordo che deve avere ben precise caratteristiche, deve essere bello
e non pesare molto. Ci riusciamo e questa volta i sassi finiscono negli
zaini per scelta e non per il solito scherzo da…
Poco prima della fine del canalone, prima cioè di sbucare
sulla marmifera che conduce a Foce di Pianza, in una piccola vallata ricca
di faggi, tagliamo verso destra oltrepassando il letto asciutto del torrente
per spostarci sul lato opposto della gola raggiungendo il piazzale della
teleferica di servizio (m.960), un meraviglioso terrazzo panoramico su
tutta la valle sulla sommità di una parete perfettamente verticale, sono
le 10.
Ci incamminiamo ora verso il bacino delle cave Walton fermamente
intenzionati a tenere fede al programma, imboccare il sentiero 39 e tornare
a Vinca. Per nessuna ragione al mondo saliremo sul Monte Sagro. Infatti,
come premesso! Attraversiamo la cava e saliamo sul terrapieno dirigendoci
speditamente verso il Sagro. Ah ma faremo la normale, niente “pettate”
con questo caldo! Non vincete nulla però provate lo stesso ad indovinare:
quale sentiero imbocchiamo?
Naturalmente la direttissima per la vetta che su versante
nord è decisamente ripida (segnavia blu). Seguendo diligentemente
i segni blu del sentiero di cresta, ben tracciato e assai frequentato,
arriviamo ansanti in vetta alle 11,50. Siamo madidi di sudore, la giornata
non è particolarmente calda e spira una leggera brezza ma il sole brucia
e l’umidità è altissima (nella vicina città di Carrara raggiungerà il
100 %) e il dislivello superato è di tutto rispetto: 1083 metri.
Guardiamo verso la spiaggia pensando ai bagnanti che la affollano, non
li invidiamo neanche un po’! Ci fermiamo a riposare e mangiare ma la vista
del percorso che dobbiamo ancora affrontare ci induce ben presto a ripartire;
è comunque trascorsa un’ora, sono le 12,50. Scendiamo lungo il sentiero
di cresta per compiere poi un lungo traverso in direzione della strada
sterrata che corre verso Puntone della Piastra. Lungo la discesa abbiamo
modo di vedere alcuni esemplari di Aquilegia del Borla, un endemismo che
cresce solo in una ristrettissima area a cavallo tra il Monte Borla e
il Monte Sagro. Il traverso, su roccette e paleo, è assai impegnativo
per il rischio costante di scivolare. Tuttavia ci scappa pure qualche
risata quando vediamo la Giusy agitarsi convulsamente nel tentativo di
scacciarsi da dosso qualcosa, ha appoggiato un braccio su uno degli enormi
formicai che costellano il tratto. Con qualche difficoltà, il percorso
è interamente fuori sentiero, raggiungiamo la marmifera notando subito
i segni del sentiero (segnavia 39), ora basta seguirli per arrivare
a destinazione. La marmifera è lunga e monotona, per fortuna ci sono nugoli
di farfalle che ci distraggono, sono così tante che a volte è difficoltoso
passare senza calpestarle.
Raggiunto il colle Zappello (m. 1100) la strada torna ad
essere un normale sentiero inoltrandosi nel bosco in leggera salita per
poi scendere rapidamente. In molti tratti si deve prestare molta attenzione,
alcuni punti sono protetti con una corda metallica quasi sempre inaffidabile.
Però c’è ombra, e questo oggi è una gran cosa. Un tuono in lontananza
ci fa notare che forse l’ombra è troppa, i previsti acquazzoni pomeridiani
stanno arrivando, meglio affrettarci. Il sentiero compie un ampio giro
mantenendosi costantemente nel bosco fino a raggiungere il letto del torrente
Lucido e immettersi poi sulla carrozzabile asfaltata in prossimità del
monumento al cavatore: una madonnina in marmo bianco ben visibile per
lunghi tratti di sentiero e perciò punto di riferimento. I brontolii del
temporale sono sempre più vicini, scendiamo in fretta rallentati solo
dalle foglie che rendono infido il percorso. Attraversiamo il torrente
completamente in secca su un ponte alquanto mal messo per inoltrarci tra
i primi castagni. In poco tempo, però ora camminiamo veramente svelti,
raggiungiamo il monumento e quindi la strada mentre il servizio meteo
(prima la pelata di Marcè e successivamente solo per questioni di… quota,
quella del sottoscritto) annuncia la caduta delle prime gocce di pioggia.
Abbiamo attenzioni solo per la fontana che intravediamo dopo pochi metri;
com’è piacevole l’acqua fresca sulla pelle sudata e polverosa! La pioggia
aumenta ma le gocce sono comunque talmente poche che non riescono neppure
a bagnare la strada, evaporano prima. Ora ci attendono 4 Km di asfalto,
una serie di tornanti che sembrano non finire mai. Qualcuno temporeggia
sorseggiando un caffè in paese, ma l’asfalto resta li ad attendere nero,
bollente e tanto lungo; coraggio si scende! Gianfranco che proprio non
lo digerisce cerca ogni possibile traccia per evitarlo riuscendo però
solo a tagliare un paio di tornanti prima di arrendersi e continuare imprecando
sommessamente. Deve fare proprio caldo per indurlo a perdere seppure lievemente
la sua proverbiale compostezza! Alle 16.30 arriviamo finalmente alle auto
che compaiono alla vista all’improvviso dopo l’ultimo tornante. Inutile
scrutare il torrente, non c’è più neppure una goccia di acqua, solo una
pozza di liquido nerastro, che schifo! Ma siamo stati previdenti! In paese
abbiamo riempito le borracce, usiamo quest’acqua per rinfrescarci un poco;
non è come mettere i piedi a mollo in una bella pozza di acqua corrente
fresca, ma meglio che niente. Posso tuttavia garantire che dopo una camminata
come questa i piedi ringraziano comunque. |