Finalmente calziamo di nuovo
gli scarponi, ora si che le ferie sono finite! Eh si perché per noi le
ferie hanno significato l’interruzione dell’attività sociale fatta eccezione
per la gita turistica del 3 settembre. Abbiamo in programma un’ escursione
nella zona del Monte Maggiorasca nell’Appennino Ligure a cavallo tra le
province di Genova e Piacenza, all’estremità nord della Val d’Aveto. Il
programma prevede un percorso ad anello da Rocca d’Aveto, una borgata
del paese di Santo Stefano d’Aveto ma alla partenza siamo in pochi, solo
in 8, così decidiamo fin da subito che andremo all’avventura senza preoccuparci
troppo di sentieri e programma. Che sarà una giornata indimenticabile
lo si capisce subito, il “solito fiorentino” ha dimenticato gli scarponi
a casa. Si, si avete letto bene, gli scarponi, non male vero? Però a pensarci
bene qualcun altro ha dimenticato gli indumenti di ricambio e, e io il
caschetto! Eh gia perché vogliamo fare anche ferratine e il ponte tibetano.
Se il buon giorno si vede dal mattino forse sarebbe meglio seguire scrupolosamente
i sentieri perché non è solo l’effetto ferie! Comunque alle 7,10 finalmente
riusciamo a partire.
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Prendiamo l’autostrada
A12 in direzione di Genova uscendo a Lavagna, da qui si seguono
le indicazioni del Parco regionale della Val d’Aveto. Sono 60 km
di curve in un ambiente che si fa sempre più selvaggio e incontaminato.
Dopo alcuni km compaiono le indicazioni per Santo Stefano, le si
segue fino al paese per poi deviare verso Rocca d’Aveto (m.1258)
dove ci fermiamo nel piazzale della vecchia stazione sciistica.
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Ci accolgono un’aria piacevolmente frizzante, il cielo
sereno e tanto sole; una giornata eccellente. Sulla destra del piazzale
si intravede una strada sterrata, è il tracciato della vecchia pista di
fondo, partiamo da li. Scorgiamo subito una quantità di funghi, bene abbiamo
un altro motivo per distrarci oggi! Dopo pochi minuti il sentiero si biforca,
un gruppo imbocca quello in salita mentre gli altri proseguono sulla pista.
Dopo un po’ decidiamo di ricongiungerci ma oramai siamo troppo distanziati,
facciamo diversi tentativi prima di rinunciare, ci riuniremo in vetta;
i cellulari direte voi ma lo sapete che tenendoli accesi si consumano
le batterie? Con quello che costano oggigiorno!
In zona i sentieri sono tutti ben segnati ma di numeri
nemmeno uno, attenzione quindi ai cartelli di legno che riportano le indicazioni
delle località. Esistono due tipologie di segnaletica, la bianco-rossa
del CAI e la gialla del Parco, in questo caso il sentiero segnalato con
una X porta in vetta al Monte Maggiorasca. A metà circa della pista, sulla
sinistra si stacca il sentiero che conduce in vetta al Monte Rocca del
Prete (m.1666) segnalato da evidenti segni bianco-rossi e da un cartello
sistemato su una pianta in corrispondenza del bivio. Si inoltra tranquillamente
nel bosco tuttavia conviene prenderlo con calma perché diventa presto
piuttosto ripido. Quando i faggi si diradano un poco si può vedere tutta
la valle, uno spettacolo maestoso che tuttavia è solo il preludio alla
vista che è possibile vedere dalla vetta del Maggiorasca. Gli sguardi
al panorama si intrecciano sempre più con quelli al sottobosco alla ricerca
di funghi. Tante, tantissime russole ma nessun porcino, siamo un po’ scoraggiati
bisogna ammetterlo, quando eccone uno proprio in bella vista. Va bene
cercare funghi ma dobbiamo anche prestare attenzione al sentiero perché
i segni sono frequenti ma la mancanza di numerazione e di cartelli può
trarre in inganno. Improvvisamente sbuchiamo su un piccolo pianoro dove
il sentiero si biforca, non ci sono indicazioni, si deve prendere a sinistra
aggirando la vetta. Dopo un tratto pianeggiante e una breve discesa il
sentiero riprende a salire, da ora in poi basta seguire la traccia non
si può più sbagliare.
Nel frattempo ci giunge una telefonata dall’altro gruppo,
loro sono gia in vetta ad attenderci, hanno percorso una traccia che porta
direttamente in vetta lungo un ripido canalone. Usciti dal bosco si intravede
la statua posta proprio sulla cima e gli impianti della stazione per telecomunicazioni;
appena raggiunta la cima del Monte Maggiorasco (m. 1804) ci accorgiamo
che soffia un vento forte che fa rabbrividire, meglio cercare un posto
riparato, poi possiamo tranquillamente goderci il panorama, sono le 11,20.
Lo sguardo corre subito verso le Apuane che sono ben visibili come le
Marittime, la vetta del Monviso che sporge dalle nuvole e l’inconfondibile
sagoma del Monte Rosa innevato. Ripartiamo dirigendoci verso i ruderi
dei vecchi impianti di risalita percorrendo la traccia sterrata di servizio
per la stazione ripetitrice. Notiamo con rammarico il totale stato di
abbandono dei fabbricati che potrebbero essere ristrutturati ed adibiti
a rifugio, siamo convinti che sarebbero molto frequentati dagli escursionisti
vista l’invidiabile posizione.
Scendiamo ora in direzione di Piano della Cipolla, la
grande spianata che si intravede in fondo alla valle. Inizialmente scendiamo
di cresta per poi percorrere la vecchia pista da sci che conduce direttamente
al pianoro. Prima però vogliamo provare l’emozione di attraversare il
ponte tibetano che sappiamo esistere da qualche parte. Non impieghiamo
molto ad individuare due imponenti guglie rocciose con le sommità collegate
dalla struttura del ponte. In corrispondenza di un tratto pianeggiante
della pista, sulla destra, parte una traccia appena visibile che attraversa
il letto di un torrente asciutto salendo rapidamente alla base delle guglie.
Saliamo in molti ma solo in tre abbiamo il “coraggio” di provare;indossiamo
l’imbraco e via. I primi passi sono poco rassicuranti, la struttura si
abbassa notevolmente inclinandosi di lato. Dopo pochi passi va meglio
e alla fine ci dispiace che non sia più lungo. Una breve ferrata permette
di scendere dalla seconda guglia e recuperare gli zaini. Pochi minuti
ancora di avventura, perché decidiamo di scendere attraverso il bosco
su rocce e dirupi, molto meglio seguire il sentiero, e siamo a Piano della
Cipolla (m. 1502), sono le 13,10. Il piano è una zona umida dove esiste
una struttura coperta per pic-nic e la Capanna Rosetta: un rifugio non
custodito sempre aperto. Ci sistemiamo al sole sul prato per mangiare
e,Marco, per schiacciare un pisolino.
L’idea nasce improvvisa quando ci prepariamo per ripartire,
facciamolo in silenzio, non svegliamo Marco. Poi ci nascondiamo dietro
al rifugio e lo chiamiamo al telefono. Chiaramente non ha idea del tempo
trascorso così è facile fargli credere che siamo oramai lontani e che
stiamo per arrivare alle macchine. Non perde la sua proverbiale flemma,
da un’occhiata in giro, si rifornisce di acqua,ci definisce sorridendo
“brutti bastardi” e, e non gli resta che incamminarsi meditando vendetta.
Naturalmente lo lasciamo camminare un bel po’ prima di chiamarlo.
Superato il pianoro (sono le 14,10) ci troviamo di fronte
ad un bivio; prendiamo il sentiero di destra verso Groppo Rosso, quello
di sinistra torna direttamente alle macchine. Superato un primo tratto
dove la segnaletica continua ad essere assente, ad eccezione dei segni
bianco-rossi, e inoltratici nella faggeta iniziano a comparire una moltitudine
di cartelli. Si devono seguire le indicazioni per il Rifugio ASASS. La
faggeta sembra proprio l’ideale per i funghi, oramai camminiamo quasi
sempre fuori dal sentiero nella speranza di trovarne qualcuno ma troviamo
solo russole e funghi velenosi. Solo all’arriva nella radura dove sorge
il Rifugio, aperto ma non gestito, e ci saluta un signore che porta un
sacchetto pieno di porcini, ci convinciamo che forse siamo stai un po’
distratti. Prendiamo adesso verso ovest, a destra con le spalle rivolte
al Rifugio, raggiungendo in breve i primi contrafforti di Groppo Rosso,
duo rilievi rocciosi strapiombanti da cui si può godere di una vista unica
della vallata. Saliamo di cresta verso la cima (m. 1593) per vedere la
Valle Tribolata un vasto canalone roccioso e arido con la parete nord,
La Ciapa Liscia, completamente liscia, appunto. Tagliamo ora lungo il
bosco, non ci sono sentieri ne segni bisogna ricordare dov’era il rifugio
e scendere fino ad incontrare il sentiero da seguire in discesa. Ora abbiamo
un solo scopo: cercare funghi, e questa volta siamo fortunati. Tutti quanti
ne troviamo qualcuno. Una volta riunitici al rifugio e confrontato il
“bottino” ci incamminiamo con una certa premura verso le auto imboccando
il sentiero in discesa che parte proprio di fronte al fabbricato. Per
buona parte proseguiamo fuori dal sentiero nella speranza di trovare altri
porcini ma siamo oramai troppo bassi, qui non ne nascono più.
Alle 16,50 siamo di ritorno al parcheggio. Prima di affrontare
il viaggio di ritorno abbiamo un ultimo impegno, trovare l’unico caseificio
della zona per acquistare il San Stè: il tipico formaggio locale. |