E’ nello spirito della nostra
Associazione rinnovare costantemente l’unione; un momento particolarmente
importante è l’ultima domenica di giugno allorché tutte le Sezioni, indipendentemente,
salgono in contemporanea una vetta. Un evento particolarmente significativo
per la U.O.E.I., sinonimo di amore per la montagna e di quello speciale
sentimento di vicinanza e di unione ideale che ci anima. Quest’anno abbiamo
scelto il monte Piglione, un monte di particolare bellezza che per noi
della Sezione di Ripa ha un significato particolare, era il monte prediletto
di un caro amico che ci ha lasciato troppo presto. Un amico che ricordiamo
ogni giorno nei nostri cuori e che oggi abbiamo voluto salutare così,
stringendoci tutti in un ideale abbraccio dal suo monte preferito. Ma
veniamo all’escursione, una lunga camminata prevalentemente su prato,
facile, adatta a tutti. Forse troppo facile, o forse troppo caldo perché
in tanti hanno scelto il mare; siamo solo in 11. Il monte Piglione è il
penultimo rilievo sud delle Apuane; leggermente spostato ad est rispetto
alla dorsale apuana divide la lucchesia dal camaiorese. Fitti boschi prima,dolci
crinali adibiti a pascolo poi, ne costituiscono la morfologia; un ambiente
quasi appenninico ma inconfondibilmente apuano per l’incredibile varietà
di flora che ospita. La costa tirrenica da un lato, lil massiccio delle
panie dall’altro, le Alpi Marittime e l’Appennino Tosco Emiliano sullo
sfondo lo rendono uno dei rilievi più affascinanti.
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Partiamo pochi minuti
dopo le 7 con destinazione Pomezzana
raggiungibile percorrendo la provinciale per Castelnuovo Garfagnana
fino al bivio di Ruosina. Qui si svolta a destra per Ponte Stazzemese
da dove basta seguire le indicazioni. Poco prima del paese, in corrispondenza
di una curva si trova la “Ferriera
Milani”, storica officina di produzione di utensili artigianali
per la lavorazione del marmo e non solo, valenti chirurghi si rivolgono
a Milani per i bisturi. |
Si prosegue sulla carrozzabile verso destra parcheggiando
nei pressi di una fontana, non è prudente proseguire perché la strada
diventa sterrata e stretta, potrebbe essere necessario tornare indietro
per parcheggiare. E’ necessario fare subito abbondante scorta di acqua
perché non ne troveremo più lungo tutto il percorso; percorriamo a piedi
la strada sterrata fino alla chiesetta di San Rocchino (m. 801) e da qui
imbocchiamo il sentiero (segnavia CAI 3, parco 2, Apuane Trekking)
che si stacca dall’angolo sud della chiesetta e procede in leggera salita
su prato, prima di inoltrarsi in un fitto boschetto. Procedendo verso
est ci lasciamo alle spalle l’Alta Versilia per inoltrarci nel camaiorese;
il panorama lentamente cambia, gli spazi diventano più aperti mentre gli
alberi lasciano il posto a pascoli sempre più aridi dove il paleo è spesso
l’unica erba. A questo punto del percorso incontriamo una fontanella,
che però nel periodo estivo è in secca (gia adesso, fine giugno, gocciola
appena). Chi rimanesse senza acqua sarebbe costretto a lunghe deviazioni
verso il torrente Lucese o verso l’Alto Matanna, per questo raccomandiamo
di farne scorta abbondante alla partenza! La giornata si preannuncia caldissima
ma per il momento la temperatura è ancora accettabile e l’alternarsi di
boschetti ombrosi rendono agevole il cammino.
Alle 09,00 siamo alla Foce del Pallone (m.1046) così chiamata
perché un tempo era la stazione di arrivo del pallone aerostatico che
ancorato ad un robusto cavo di acciaio trasportava i turisti dalla Versilia
all’Alto Matanna, collegato alla stazione da un servizio di carrozze tramite
una strada tuttora in ottimo stato. Il panorama è mozzafiato in tutti
i sensi, davanti a noi si vede tutto il percorso che dovremo affrontare;il
Piglione è un rilievo molto in lontananza! Peccato per la foschia altrimenti
avremmo potuto spingere lo sguardo dall’Arcipelago Toscano fino alle Alpi
Marittime. Sollecitati dal sole che inizia a picchiare forte e dagli insetti
che gia pregustano un lauto e profumato (per loro) banchetto ci rimettiamo
in marcia. Il sentiero (segnavia 105) è segnato malamente, poco più di
una traccia che non è possibile perdere, basta puntare verso il crinale
in discesa. Tratti di pascolo arido si alternano a zone ricoperte da felci
che crescono rigogliose negli avvallamenti dove si è accumulata la neve.
Alle 09,40 siamo alla Foce del Crocione o del Termine (m. 925), crocevia
di molti sentieri. Ascoltiamo curiosi le notizie sulla zona che Gianfranco,
inestimabile conoscitore di ogni angolo di Apuane e Appennino, ci fornisce.
Imbocchiamo il sentiero in salita (segnavia 103) che conduce direttamente
al versante ovest del Piglione; in realtà il sentiero conduce però in
vetta dal versante nord attraverso una ripidissima salita.
Noi decidiamo, una volta raggiunta la sella di deviare
seguendo la traccia che porta verso la cima sud del monte, per poi risalire
verso la cima nord, la vetta, percorrendo tutto il crinale. Un sentiero
facile ma di grande fascino, solo così a nostro parere si può apprezzare
la bellezza austera del Piglione. Mosche e tafani diventano insopportabili,
ognuno cerca di difendersi come può spruzzandosi spray repellenti che
sulla pelle sudata bruciano come fuoco, oppure scacciandoli con ramoscelli
e finendo per percuotersi in continuazione alla stregua di penitenti in
processione. La soluzione migliore la individua Marcello, con delle felci
realizza un bel copricapo svolazzante che allontana si gli insetti ma
lo fa assomigliare ad una creatura dei boschi di qualche favola. Siamo
davvero uno spettacolo, per fortuna non ci vede nessuno!Giunti alla selletta
imbocchiamo il lungo sentiero sul versante ovest mentre il solito gruppetto
di “asociali” opta invece per la diretta, la ripida salita che in poco
tempo conduce in vetta dal versante nord. Solo la lontananza fa cessare
gli sfottò tra noi che li chiamiamo asociali, ecc,ecc, e loro che ci invitano
a restare a casa se non ce la facciamo. Il sentiero procede in tranquilla
salita, porta verso la cima sud da dove, percorrendo la cresta, si raggiunge
la cima nord, la vetta a 1233 metri. Il sole è ora alto e picchia da far
perdere il respiro. Solo qualche alito di vento offre un minimo di refrigerio,
sempre troppo poco però. Il terreno arido è ideale per i semprevivi che
sfoggiano tutta la loro bellezza. All’arrivo in vetta, sono le 10,50,veniamo
accolti dal silenzio degli altri, segno che la salita sotto questo sole
ha piegato anche “asociali” irriducibili come loro. Ci guardiamo in cagnesco
per un attimo prima di scoppiare in una risata ben presto spenta dal ricordo
del motivo per cui siamo saliti. Ognuno a modo suo ricorda l’amico che
resterà per sempre nei nostri cuori.
Fa davvero troppo caldo per fermarci a lungo, dopo soli
10 minuti decidiamo di scendere ripercorrendo il sentiero della salita
fino ad una selletta da dove si gode di un magnifico panorama del monte
Prana. Non è segnalata ma non è possibile sbagliarsi, di fronte il sentiero
percorso all’andata, sulla destra una traccia che taglia a mezza costa
inoltrandosi nel bosco, prendiamo quella. L’ombra ci da subito un po’
di sollievo, superiamo la sorgente del torrente Lucese, dove è possibile
trovare sempre acqua affrontando però una deviazione a valle di alcune
centinaia di metri. Ancora una salita e di nuovo bosco, ontani e faggi
ora sembrano un piccolo paradiso tanto più che abbiamo attraversato una
zona dove non c’era un alito di vento. Ci fermiamo per ricompattare il
gruppo, per dissetarci e per abbandonare definitivamente l’idea di salire
il Matanna. Taglieremo a mezza costa per raggiungere la faggeta che vediamo
in lontananza e riposarci. Alla focetta che separa la conca dell’Alto
Matanna dalla vallata del camaiorese ci impegniamo in una gara a chi riesce
a scorgere il laghetto, quasi tutti lo scorgono tra gli abeti, mah dato
che è quasi prosciugato e gli alberi sono fitti abbiamo una grande fantasia!
Il solito gruppo dei tre “asociali” non resiste, partono come forsennati
per la vetta del Matanna che a dire il vero è molto invitante. Noi ligi
al dovere, cioè al rispetto ferreo del programma (leggi fa troppo caldo
non ne abbiamo affatto voglia, è faticoso, ecc) proseguiamo imperterriti
sul sentiero. Tra i faggi soffia una deliziosa brezza; è prioritario cercare
un posto per poterci stendere in santa pace per mangiare qualcosa e perché
no, schiacciare un pisolino, sono le 12,55. Eventualità sulla quale stiamo
riflettendo seriamente quando arrivano tre vocianti casinisti a rompere
la quiete, sono gli asociali che fanno notare che “loro in vetta ci sono
stati”. Non glielo diciamo ma adesso sono stati (mandati) anche … A giudicare
da come si avventano su frutta e bevande hanno faticato un bel po’, ma
guai ammetterlo! Stranamente oggi non abbiamo fretta, li ignoriamo, o
meglio cerchiamo di ignorarli schiacciando un pisolino. Macchè impossibile,
tra una battuta, chi si desta improvvisamente aggrappato ad una roccetta
perché sta scivolando, chi non riesce a trovare il posto adatto e si aggira
come un’anima in pena per tutto il bosco, c’è sempre fermento.
Ripartiamo alle 14,10 dirigendoci verso la Foce di Grattaculo
sul sentiero (segnavia 3) intenzionati a passare dall’Agriturismo
l’Agrifoglio per un caffè. Adesso camminiamo sempre nel bosco all’ombra,
è piacevole. A parte qualche innocuo scivolone sul pietrisco che ha solo
l’effetto di suscitare ilarità generale. Come fa involontariamente Marco
che si ferma per lunghi momenti ad osservare tra l’esterefatto e il preoccupato
due provetti fotografi che si dannano l’anima per fotografare il nulla
dal suo punto!!! di vista. Si è fermato ad osservare proprio di fronte
ad un grosso faggio che per quanto lo si osservi non ha proprio nulla
di interessante da immortalare. Peccato che il tronco dell’albero copra
la vista di un meraviglioso esemplare di giglio di San Giovanni (lilium
bulbiferum), lo scopo di tanta attenzione. Sarà veramente acqua quella
che ha portato nella borraccia?
A pochi minuti dall’agriturismo troviamo una fontana, la
prima acqua dal mattino, dopo tanto caldo una goduria pazzesca l’acqua
fresca sulla pelle. La fonte, come le altre strutture sono state ristrutturate
o realizzate grazie al progetto europeo A.P.E.
per la salvaguardia del territorio, che ha consentito il riassetto idrogeologico,
e il recupero di vecchi casolari da tempo abbandonati. Arriviamo alle
15,20, stanchi e sudati come siamo suscitiamo la curiosità degli avventori
che vogliono sapere da dove arriviamo e come sempre stentano a credere
alla descrizione del percorso che gli facciamo. Le macchine sono a pochi
minuti, c’è tutto il tempo per un caffè e acquistare formaggio locale.
Quindici minuti di sentiero ci riportano alle auto e ad un’altra fontana,
abbiamo proprio bisogno di una buona rinfrescata, che caldo oggi!
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