U.O.E.I.
UNIONE OPERAIA ESCURSIONISTI ITALIANI
Sezione "Antonio Tessa" - RIPA DI VERSILIA
 
MONTE VETTORE Parco Nazionale dei Monti Sibillini
14 - 15 - 16 Luglio
Percorso: Da Forca di Presta a Castelluccio di Norcia Segnaletica: rossa segnavia 1 - 1A - 2 - 3 (biancorossa CAI segnavia 153[3] - 202[2]
Dislivello: m. 942 in salita- m. 924 in discesa Tempo di percorrenza: ore 7 circa
Classificazione: E Punti sosta: Rifugio Zilioli - Capanna Ghezzi entrambi non custoditi
Acqua: a valle del Lago di Pilato e presso la Capanna Ghezzi Periodo consigliato: dalla primavera all'autunno
Ogni anno la nostra Sezione organizza, nel mese di luglio, un’escursione di tre giorni su una grande montagna. Quest’anno abbiamo privilegiato gli aspetti ambientalistici rispetto agli aspetti tecnici scegliendo un monte che non presentasse difficoltà tecniche ma inserito in un contesto di assoluto rilievo, al fine di incentivare la partecipazione del maggior numero possibile di Soci . Probabilmente è stato un errore perché alla fine siamo solo in 13 escursionisti e 10 turisti. La scelta è caduta sull’Appennino Centrale e sul Monte Vettore in particolare, per la sua collocazione nel cuore del Parco Nazionale dei Monti Sibillini costituito nel 1993 su una superficie di oltre 70 Km quadrati. L’escursione era abbinata ad una gita turistica di due giorni che ci ha portati a conoscere lo più significative località dell’Umbria. Insomma un fine settimana di grande interesse in un paesaggio incredibile che non può essere compiutamente descritto, deve essere visto; e riscoprire le mille bellezze della verde Umbria. Va bene che la sveglia suona insolitamente tardi ma stamani, sabato 15, proprio gli occhi non vogliono aprirsi; che gli escursionisti si stiano abituando male? Questa insolita tre giorni lo fa sospettare. Tuttavia alle 7,30 siamo tutti diligentemente seduti per la colazione, ansiosi come non mai di salire sul pullman per vedere da vicino il Monte Vettore. Il nome Vettore probabilmente deriva da Victor, vincitore in altezza sulle altre cime vicine, visto dall'alto monte Vettore ha la forma di un ferro di cavallo che sprofonda al suo interno nel bacino del Lago di Pilato. Una pecularietà è sicuramente il suo aspetto cosi diverso tra il versante umbro e il versante marchigiano. Ad occidente il monte si innalza dal Pian Grande di Castelluccio per quasi 1000 metri, completamente spoglio di vegetazione, a oriente, nelle Marche, il monte Vettore appare completamente diverso: un'enorme massa rocciosa che incombe sui paesini sottostanti, creando un paesaggio indubbiamente dolomitico. Crediamo di conoscere l’immenso pianoro ma lo scenario che si apre davanti ai nostri occhi è sorprendentemente immenso. E’ ber difficile descriverlo, bisogna vederlo! Una sterminata distesa di multicolori campi coltivati e dolci colline. Il Pian Grande di Castelluccio è un’immensa pianura di 1300 ettari, un tempo era ricoperta dalle acque di un lago da secoli inghiottito dal sistema carsico del luogo. Attualmente è attraversata per un lungo tratto dal fosso dei Mergani che serpeggiando per circa due chilometri termina nell’Inghiottitoio che raccoglie le acque del bacino imbrifero dei piani di Castelluccio, circa 50 milioni di metri cubi all’ anno. Le acque che alimentano il fosso provengono esclusivamente dallo scioglimento delle nevi e dalle piogge. Nelle vicinanze del fosso è possibile notare varie doline di forme diverse: a imbuto, a piatto a scodella.
Alle 8,30 arriviamo a Forca di Presta (m.1534), spira una leggera brezza che fa sperare in una giornata forse non troppo calda. Pochi minuti bastano per i preparativi, siamo subito in fila sull’ampio sentiero (segnavia 1) che dalla Forca sale lungo Costa Le Particelle in direzione della vetta del Monte Vettoretto. Da notare che qui i sentieri sono malamente segnalati con rari segni rossi spesso scoloriti ma sui Sibillini l’orientamento non è un problema. I sentieri si sviluppano per la maggior parte su prati aperti permettendo la loro individuazione anche a distanze notevoli, la cartina è però indispensabile. Accidenti è ripido, però! Ci incamminiamo alla spicciolata godendoci il panorama che salendo di quota diventa sempre più unico. In pochi attimi svaniscono tutti i dubbi che ci hanno assillato circa l’opportunità di programmare un’escursione in questi luoghi. Il versante di Castelluccio è completamente brullo, quasi lunare tanto da assomigliare perfettamente ad una prateria americana; il versante opposto prettamente dolomitico con prati verdi, fitti boschi e pareti rocciose strapiombanti. Un contrasto che lascia sbalorditi. Il suono di una sirena ci riporta alla realtà, un’ambulanza attraversa tutta la vallata dirigendosi verso la Forca, ancora poco e avvertiamo il rumore di un elicottero che lentamente si avvicina al crinale per un soccorso. Niente di grave solo un lieve malore ad uno dei tanti escursionisti che frequentano la zona; un’occasione comunque per invitare ancora una volta a non sottovalutare mai la montagna, anche la più facile. Molto in lontananza, sulla cresta, vediamo la sagoma del Rifugio Zilioli, è li che ci ricompatteremo. Saliamo in piccoli gruppetti, ognuno intento a godersi le meraviglie del posto o ascoltando le dotte delucidazioni di Aldo che da esperto pilota di aeromodelli ci dice tutto circa le correnti d’aria che rendono la zona un vero paradiso per gli amanti del volo a vela. Notiamo la ridotta varietà della flora rispetto all’Appennino che conosciamo, e la mancanza di animali. Per fortuna c’è una bella brezza perché il dislivello da superare è importante, una salita che non molla mai.
Superato il Monte Vettoretto (m. 2052) percorriamo un breve falsopiano prima di affrontare la ripida salita che attraversando il Pratopulito porta al rifugio. L’ultimo tratto è sicuramente il più duro della giornata, ripido e sconnesso. Arriviamo al Rifugio Zilioli (m. 2240) alle 10,20, lasciamo gli zaini per precipitarci subito a dare un’occhiata al Lago di Pilato, troppo in basso rispetto alla nostra posizione, però, per essere visto. Il lago non lo vediamo ma scopriamo un’altra perla del luogo, la vallata glaciale che ospita il lago e la parete nord della cima del Redentore, una parete verticale di roccia. Con grande sorpresa notiamo grandi chiazze di neve, un signore del posto ci racconta che il lago è rimasto ghiacciato fino ad una settimana addietro. Incredibile pensando che praticamente alla stessa quota, sull’altro versante di giorno la temperatura sfiora i 30 gradi! Guardiamo rapiti il panorama scorgendo solo casualmente una stella alpina appenninica che stiamo per calpestare; guardando meglio ne vediamo tantissime.
Ci rimettiamo in cammino imboccando il sentiero a destra (segnavia 1 A) che percorre inizialmente il crinale tra le due valli per poi inerpicarsi lungo la Salita delle Ciaule, guardando bene si può intravedere la croce posta sulla vetta ancora piuttosto lontana, conviene prenderla con calma anche se siamo un po’ preoccupati per le nuvole che a tratti avvolgono Cima del Redentore, sappiamo della possibilità di piogge e il solito esperto locale ci ha assicurato che nel pomeriggio c’è il 90 per cento di probabilità di pioggia! E’ quasi certo che ci bagneremo, speriamo che si sbagli. Il monte diventa, se possibile, ancora più brullo. In lontananza scorgiamo un nevaio, il sentiero lo aggira ma noi ovviamente tagliamo fuori traccia e lo raggiungiamo accorgendoci con sorpresa che la neve è durissima e ghiacciata in più punti. Abbandoniamo subito l’idea di attraversarlo e ritorniamo mestamente sul sentiero. Abbiamo spavaldamente risalito un canalino e ora sentiamo la fatica, meglio proseguire sulla traccia decisamente meno faticosa, che però di colpo sparisce. La croce e un vistoso cumulo di sassi che scopriremo poi fungere da cappellina per una immagine sacra, indicano la vetta; si procede in quella direzione alla spicciolata, oramai ci siamo. Trovare in vetta una bandiera dell’ Italia campione del mondo è l’occasione per esultare di nuovo, incuranti dei visi lunghi di due ragazze mestamente sedute vicino alla croce. Sono due tedesche che non possono fare altro che affermare con ben poca convinzione che il terzo posto non è poi coaì male. Sono le 10,45 , siamo in consistente anticipo sui tempi previsti dalle guide, questo ci autorizza a supporre che anche gli altri tempi indicati siano calcolati su un’andatura decisamente più turistica della nostra, perciò ce la prendiamo comoda anche nel disporci per una foto di gruppo.
Improvvisamente sono le nuvole che riempiono la vallata ad indurci a scendere. Ripercorriamo il sentiero della salita fino al nevaio, che peccato che sia così dura sarebbe stata una vera pacchia poterlo scendere. Ci dirigiamo verso il bivacco per imboccare il sentiero che scende decisamente nella valle (segnavia 3). Solo Marcè però decide di seguirlo fedelmente, noi tutti tagliamo a traverso sperando che qualche guardia non ci faccia un cicchetto. In realtà però il sentiero esiste solo sulla carta, nella realtà si intravede a malapena una traccia decisamente in disuso a testimoniare che quasi tutti scendono come vogliono. Raggiunto un piccolo avvallamento troviamo finalmente il segno rosso del sentiero e la vera traccia che imbocchiamo puntando verso il lago. Percorso un breve tratto erboso si devono superare delle rocce rese scivolose e particolarmente insidiose dal continuo passaggio degli escursionisti. Mettiamo via i bastoncini tanto utili prima quanto di intralcio ora, procedendo con molta cautela perché,oltretutto, il tratto è molto esposto fino allo ghiaione che delimita il versante orientale del lago. Dopo un po’ la traccia si divide, scegliamo quella in basso che scende direttamente al lago mentre quella in alto compie un lungo giro; si rivelerà un errore perché finisce alcuni metri prima del lago stesso costringendoci ad un fuori pista assai pericoloso. Comunque arriviamo indenni, almeno nel fisico, perché al morale ci pensa una guardia forestale che ci redarguisce severamente accusandoci di aver infranto il regolamento del parco che impone di raggiungere le sponde del lago solo attraverso il sentiero di minor pendenza, che quest’anno risulta essere quello alto da noi ignorato. Gli facciamo notare che i cartelli che indicano il divieto dovrebbero stare all’inizio non alla fine del sentiero, che siamo scesi su una traccia realizzata appositamente dall’uomo e non fuori pista e che i rari segni non possono, in questo caso almeno, costituire una segnaletica utile ad evitare errori. Si dice d’accordo spiegandoci che il divieto è stato imposto per motivi di sicurezza al fine di evitare pericolose cadute. Ci informa anche che è vietato toccare l’acqua perché il lago è l’habitat di un crostaceo che vive solo in queste acque e che perciò gode del massimo grado di protezione.
l Lago di Pilato è situato a 1941 m. slm., in una conca modellata dal ghiaccio, disposto in senso sud-nord, di forma e dimensione variabili a seconda della quantità d' acqua dovuta alle precipitazioni ed al disgelo. Quando vi è abbondanza d'acqua, il lago ha una forma ad occhiale, con una strozzatura creata dal detrito di falda. Con la diminuzione dell'acqua, il detrito di falda emerge, e il lago si divide in due laghetti di forma circolare, con un diametro maggiore di oltre 300 m. e minore di quasi 100 m. La profondità massima è di 9 m. Nella tradizione popolare il lago è stato ed è considerato un luogo magico e misterioso. Il lago prende infatti il suo nome da una leggenda secondo la quale nelle sue acque sarebbe finito il corpo di Ponzio Pilato dopo la sua morte. Il corpo, affidato ad un carro di buoi lasciati liberi di peregrinare senza meta, sarebbe precipitato nel lago dall'affilata cresta della Cima del Redentore. Anche per questo il lago, a partire dal XIII secolo è considerato luogo di streghe e negromanti, tanto da costringere le autorità religiose del tempo a proibirne l'accesso e a far porre una forca all'inizio della valle come monito. L'intera area del Lago di Pilato ha un valore naturalistico inimmaginabile, molte sono le varietà di vegetazione d'alta quota che qui crescono, sopratutto nei ghiaioni. Le Acque del Lago di Pilato custodiscono comunque il più importante dei suoi tesori, l'endemico crostaceo, il Chirocephalus Marchesonii. Il Chirocefalo Marchesoni è un piccolo crostaceo rosso corallo, endemico del Lago di Pilato, in tutto il mondo vive solo in queste acque. Curioso è il suo metodo di nuotare con il ventre rivolto in alto. Raggiunge una lunghezza massima compresa tra 9 e 12 mm. Depone le uova lungo le sponde del Lago, queste si schiudono solo quando le condizioni ambientali sono favorevoli, solitamente in primavera o estate, tale caratteristica è ciò che permette alla specie di sopravivere in un ambiente cosi ostile. Aggiriamo il lago guardando con meraviglia il grande nevaio permanente che lo alimenta, portandoci sulla riva nord per il pranzo, sono le 13.
La temperatura gradevole e lo scenario grandioso tolgono ogni voglia di ripartire; il tempo però sta decisamente peggiorando, ci rendiamo conto che presto potrebbe iniziare a piovere perciò con malcelato dispiacere ci incamminiamo verso Cima Piscini dove inizia il sentiero (segnavia 2) che percorreremo per tornare a Castelluccio. Pochi metri a valle del lago si trova la Fonte del Lago, il primo punto dalla partenza dove è possibile trovare acqua. Notiamo subito delle tracce che tagliano lo ghiaione alla base della Punta del Diavolo, un approfondito consulto della cartina serve a chiarirci le idee, meglio prendere una di queste tracce che portano direttamente a Forca Viola senza scendere per risalire poi per oltre 200 metri. Dobbiamo attraversare un altro nevaio dove la neve è ancora durissima, fatichiamo un bel po’ a inciderla con le suole degli scarponi. Dal fondo valle giungono le prime avvisaglie della pioggia imminente, la cima del Vettore è scomparsa tra le nuvole, oramai è sicuro che ci bagneremo. L’efficientissimo servizio meteo (la ben nota pelata) annuncia quasi subito le prime gocce; un gruppetto affretta il passo ma alcuni sono piuttosto stanchi e non cambiano ritmo, pazienza restiamo con loro per vivere insieme questa nuova avventura di cui però avremmo fatto a meno! Mannaggia, il temporale si sposta verso est, ci segue, che sfiga ce lo beccheremo tutto. Nonostante la pioggia il sentiero si mantiene sicuro, facilmente percorribile e non scivoloso. Raggiunta Forca Viola (m. 1936) proseguiamo sul sentiero (segnavia 2) iniziando gradualmente a scendere verso Colle Abieri (m. 1800) e la valle delle Painacce. Intanto arrivano i primi tuoni, ci mancavano anche questi! Per il momento sono ancora lontani, inutile sollecitare ad allungare il passo, i nostri amici proprio non ce la fanno, i tuoni però si avvicinano. Camminiamo in silenzio come se anche parlare attirasse i fulmini.

Oramai fradici ma indenni arriviamo alla Capanna Grezzi (m.1570) un casolare usato dai pastori con una stanza adibita a rifugio dal CAI di Perugina, anche qui è possibile trovare acqua, ehm anche quando non piove come oggi beninteso! Un pastore ci fornisce la chiave, ci rilassiamo un attimo cambiandoci gli indumenti bagnati. Salutiamo imboccando la strada sterrata che inizia vicino agli abbeveratoi (segnavia 2). Piove ancora abbondantemente anche se il temporale si è oramai spostato, probabilmente faremo anche in tempo ad asciugarci prima di arrivare. In effetti quando sbuchiamo nel Pian Grande è oramai smesso di piovere col sole che fa di nuovo capolino. Passiamo in mezzo ad immensi campi di lenticchie, le famose lenticchie di Castelluccio. Il culmine della fioritura è passato da tempo, resistono solo chiazze di colore che ancora regalano ai campi una bellezza unica. Vorremmo evitare l’asfalto tagliando per i pascoli ma un cane da pastore non è del tutto d’accordo. Siccome è pure grosso evitiamo, facciamo un poco onorevole dietrofront adattandoci al solito benedetto asfalto. Almeno non è bollente come domenica scorsa sulle Apuane!!! Alle 16,30 siamo di ritorno a Castelluccio sotto un bellissimo sole che ci regala un’ultima goccia di sudore. Ora una bella doccia poi shopping tra le ghiottonerie tipiche e quindi a cena insieme ai turisti, quattro chiacchiere e infine a nanna. Domani ci attende una giornata durissima, faremo i turisti anche noi, una giornata intera in pullman evviva (?)

NOTA.
Noi abbiamo scelto di concludere l'escursione a Castellucci di Norcia dove avevamo la sistemazione nelle strutture ricettive locali. Tuttavia è possibile, allungando di circa un'ora la percorrenza, tornare a Forca di Presta seguendo la strada carrozzabile (asfaltata) che si incontra sulla sinistra lungo lo stradone che attraversa il Pian Grande.


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