Ogni anno la nostra Sezione
organizza, nel mese di luglio, un’escursione di tre giorni su una grande
montagna. Quest’anno abbiamo privilegiato gli aspetti ambientalistici
rispetto agli aspetti tecnici scegliendo un monte che non presentasse
difficoltà tecniche ma inserito in un contesto di assoluto rilievo, al
fine di incentivare la partecipazione del maggior numero possibile di
Soci . Probabilmente è stato un errore perché alla fine siamo solo in
13 escursionisti e 10 turisti. La scelta è caduta sull’Appennino Centrale
e sul Monte Vettore in particolare, per la sua collocazione nel cuore
del Parco Nazionale dei Monti Sibillini
costituito nel 1993 su una superficie di oltre 70 Km quadrati. L’escursione
era abbinata ad una gita turistica di due giorni che ci ha portati a conoscere
lo più significative località dell’Umbria. Insomma un fine settimana di
grande interesse in un paesaggio incredibile che non può essere compiutamente
descritto, deve essere visto; e riscoprire le mille bellezze della verde
Umbria. Va bene che la sveglia suona insolitamente tardi ma stamani, sabato
15, proprio gli occhi non vogliono aprirsi; che gli escursionisti si stiano
abituando male? Questa insolita tre giorni lo fa sospettare. Tuttavia
alle 7,30 siamo tutti diligentemente seduti per la colazione, ansiosi
come non mai di salire sul pullman per vedere da vicino il Monte Vettore.
Il nome Vettore probabilmente deriva da Victor, vincitore in altezza sulle
altre cime vicine, visto dall'alto monte Vettore ha la forma di un ferro
di cavallo che sprofonda al suo interno nel bacino del Lago di Pilato.
Una pecularietà è sicuramente il suo aspetto cosi diverso tra il versante
umbro e il versante marchigiano. Ad occidente il monte si innalza dal
Pian Grande di Castelluccio per quasi 1000 metri, completamente spoglio
di vegetazione, a oriente, nelle Marche, il monte Vettore appare completamente
diverso: un'enorme massa rocciosa che incombe sui paesini sottostanti,
creando un paesaggio indubbiamente dolomitico. Crediamo di conoscere l’immenso
pianoro ma lo scenario che si apre davanti ai nostri occhi è sorprendentemente
immenso. E’ ber difficile descriverlo, bisogna vederlo! Una sterminata
distesa di multicolori campi coltivati e dolci colline. Il Pian Grande
di Castelluccio è un’immensa pianura di 1300 ettari, un tempo era ricoperta
dalle acque di un lago da secoli inghiottito dal sistema carsico del luogo.
Attualmente è attraversata per un lungo tratto dal fosso dei Mergani che
serpeggiando per circa due chilometri termina nell’Inghiottitoio che raccoglie
le acque del bacino imbrifero dei piani di Castelluccio,
circa 50 milioni di metri cubi all’ anno. Le acque che alimentano il fosso
provengono esclusivamente dallo scioglimento delle nevi e dalle piogge.
Nelle vicinanze del fosso è possibile notare varie doline di forme diverse:
a imbuto, a piatto a scodella.
Alle 8,30 arriviamo a Forca di Presta (m.1534), spira
una leggera brezza che fa sperare in una giornata forse non troppo calda.
Pochi minuti bastano per i preparativi, siamo subito in fila sull’ampio
sentiero (segnavia 1) che dalla Forca sale lungo Costa Le Particelle
in direzione della vetta del Monte Vettoretto. Da notare che qui i sentieri
sono malamente segnalati con rari segni rossi spesso scoloriti ma sui
Sibillini l’orientamento non è un problema. I sentieri si sviluppano per
la maggior parte su prati aperti permettendo la loro individuazione anche
a distanze notevoli, la cartina è però indispensabile. Accidenti è ripido,
però! Ci incamminiamo alla spicciolata godendoci il panorama che salendo
di quota diventa sempre più unico. In pochi attimi svaniscono tutti i
dubbi che ci hanno assillato circa l’opportunità di programmare un’escursione
in questi luoghi. Il versante di Castelluccio è completamente brullo,
quasi lunare tanto da assomigliare perfettamente ad una prateria americana;
il versante opposto prettamente dolomitico con prati verdi, fitti boschi
e pareti rocciose strapiombanti. Un contrasto che lascia sbalorditi. Il
suono di una sirena ci riporta alla realtà, un’ambulanza attraversa tutta
la vallata dirigendosi verso la Forca, ancora poco e avvertiamo il rumore
di un elicottero che lentamente si avvicina al crinale per un soccorso.
Niente di grave solo un lieve malore ad uno dei tanti escursionisti che
frequentano la zona; un’occasione comunque per invitare ancora una volta
a non sottovalutare mai la montagna, anche la più facile. Molto in lontananza,
sulla cresta, vediamo la sagoma del Rifugio Zilioli, è li che ci ricompatteremo.
Saliamo in piccoli gruppetti, ognuno intento a godersi le meraviglie del
posto o ascoltando le dotte delucidazioni di Aldo che da esperto pilota
di aeromodelli ci dice tutto circa le correnti d’aria che rendono la zona
un vero paradiso per gli amanti del volo a vela. Notiamo la ridotta varietà
della flora rispetto all’Appennino che conosciamo, e la mancanza di animali.
Per fortuna c’è una bella brezza perché il dislivello da superare è importante,
una salita che non molla mai.
Superato il Monte Vettoretto (m. 2052) percorriamo un
breve falsopiano prima di affrontare la ripida salita che attraversando
il Pratopulito porta al rifugio. L’ultimo tratto è sicuramente il più
duro della giornata, ripido e sconnesso. Arriviamo al Rifugio Zilioli
(m. 2240) alle 10,20, lasciamo gli zaini per precipitarci subito a dare
un’occhiata al Lago di Pilato, troppo in basso rispetto alla nostra posizione,
però, per essere visto. Il lago non lo vediamo ma scopriamo un’altra perla
del luogo, la vallata glaciale che ospita il lago e la parete nord della
cima del Redentore, una parete verticale di roccia. Con grande sorpresa
notiamo grandi chiazze di neve, un signore del posto ci racconta che il
lago è rimasto ghiacciato fino ad una settimana addietro. Incredibile
pensando che praticamente alla stessa quota, sull’altro versante di giorno
la temperatura sfiora i 30 gradi! Guardiamo rapiti il panorama scorgendo
solo casualmente una stella
alpina appenninica che stiamo per calpestare; guardando meglio ne
vediamo tantissime.
Ci rimettiamo in cammino imboccando il sentiero a destra
(segnavia 1 A) che percorre inizialmente il crinale tra le due
valli per poi inerpicarsi lungo la Salita delle Ciaule, guardando bene
si può intravedere la croce posta sulla vetta ancora piuttosto lontana,
conviene prenderla con calma anche se siamo un po’ preoccupati per le
nuvole che a tratti avvolgono Cima del Redentore, sappiamo della possibilità
di piogge e il solito esperto locale ci ha assicurato che nel pomeriggio
c’è il 90 per cento di probabilità di pioggia! E’ quasi certo che ci bagneremo,
speriamo che si sbagli. Il monte diventa, se possibile, ancora più brullo.
In lontananza scorgiamo un nevaio, il sentiero lo aggira ma noi ovviamente
tagliamo fuori traccia e lo raggiungiamo accorgendoci con sorpresa che
la neve è durissima e ghiacciata in più punti. Abbandoniamo subito l’idea
di attraversarlo e ritorniamo mestamente sul sentiero. Abbiamo spavaldamente
risalito un canalino e ora sentiamo la fatica, meglio proseguire sulla
traccia decisamente meno faticosa, che però di colpo sparisce. La croce
e un vistoso cumulo di sassi che scopriremo poi fungere da cappellina
per una immagine sacra, indicano la vetta; si procede in quella direzione
alla spicciolata, oramai ci siamo. Trovare in vetta una bandiera dell’
Italia campione del mondo è l’occasione per esultare di nuovo, incuranti
dei visi lunghi di due ragazze mestamente sedute vicino alla croce. Sono
due tedesche che non possono fare altro che affermare con ben poca convinzione
che il terzo posto non è poi coaì male. Sono le 10,45 , siamo in
consistente anticipo sui tempi previsti dalle guide, questo ci autorizza
a supporre che anche gli altri tempi indicati siano calcolati su un’andatura
decisamente più turistica della nostra, perciò ce la prendiamo comoda
anche nel disporci per una foto di gruppo.
Improvvisamente sono le nuvole che riempiono la vallata
ad indurci a scendere. Ripercorriamo il sentiero della salita fino al
nevaio, che peccato che sia così dura sarebbe stata una vera pacchia poterlo
scendere. Ci dirigiamo verso il bivacco per imboccare il sentiero che
scende decisamente nella valle (segnavia 3). Solo Marcè però decide
di seguirlo fedelmente, noi tutti tagliamo a traverso sperando che qualche
guardia non ci faccia un cicchetto. In realtà però il sentiero esiste
solo sulla carta, nella realtà si intravede a malapena una traccia decisamente
in disuso a testimoniare che quasi tutti scendono come vogliono. Raggiunto
un piccolo avvallamento troviamo finalmente il segno rosso del sentiero
e la vera traccia che imbocchiamo puntando verso il lago. Percorso un
breve tratto erboso si devono superare delle rocce rese scivolose e particolarmente
insidiose dal continuo passaggio degli escursionisti. Mettiamo via i bastoncini
tanto utili prima quanto di intralcio ora, procedendo con molta cautela
perché,oltretutto, il tratto è molto esposto fino allo ghiaione che delimita
il versante orientale del lago. Dopo un po’ la traccia si divide, scegliamo
quella in basso che scende direttamente al lago mentre quella in alto
compie un lungo giro; si rivelerà un errore perché finisce alcuni metri
prima del lago stesso costringendoci ad un fuori pista assai pericoloso.
Comunque arriviamo indenni, almeno nel fisico, perché al morale ci pensa
una guardia forestale che ci redarguisce severamente accusandoci di aver
infranto il regolamento del parco che impone di raggiungere le sponde
del lago solo attraverso il sentiero di minor pendenza, che quest’anno
risulta essere quello alto da noi ignorato. Gli facciamo notare che i
cartelli che indicano il divieto dovrebbero stare all’inizio non alla
fine del sentiero, che siamo scesi su una traccia realizzata appositamente
dall’uomo e non fuori pista e che i rari segni non possono, in questo
caso almeno, costituire una segnaletica utile ad evitare errori. Si dice
d’accordo spiegandoci che il divieto è stato imposto per motivi di sicurezza
al fine di evitare pericolose cadute. Ci informa anche che è vietato toccare
l’acqua perché il lago è l’habitat di un crostaceo che vive solo in queste
acque e che perciò gode del massimo grado di protezione.
l Lago di Pilato è situato a 1941 m. slm., in una conca
modellata dal ghiaccio, disposto in senso sud-nord, di forma e dimensione
variabili a seconda della quantità d' acqua dovuta alle precipitazioni
ed al disgelo. Quando vi è abbondanza d'acqua, il lago ha una forma ad
occhiale, con una strozzatura creata dal detrito di falda. Con la diminuzione
dell'acqua, il detrito di falda emerge, e il lago si divide in due laghetti
di forma circolare, con un diametro maggiore di oltre 300 m. e minore
di quasi 100 m. La profondità massima è di 9 m. Nella tradizione popolare
il lago è stato ed è considerato un luogo magico e misterioso. Il lago
prende infatti il suo nome da una leggenda secondo la quale nelle sue
acque sarebbe finito il corpo di Ponzio Pilato dopo la sua morte. Il corpo,
affidato ad un carro di buoi lasciati liberi di peregrinare senza meta,
sarebbe precipitato nel lago dall'affilata cresta della Cima del Redentore.
Anche per questo il lago, a partire dal XIII secolo è considerato luogo
di streghe e negromanti, tanto da costringere le autorità religiose del
tempo a proibirne l'accesso e a far porre una forca all'inizio della valle
come monito. L'intera area del Lago di Pilato ha un valore naturalistico
inimmaginabile, molte sono le varietà di vegetazione d'alta quota che
qui crescono, sopratutto nei ghiaioni. Le Acque del Lago di Pilato custodiscono
comunque il più importante dei suoi tesori, l'endemico crostaceo, il Chirocephalus
Marchesonii. Il Chirocefalo Marchesoni è un piccolo crostaceo rosso
corallo, endemico del Lago di Pilato, in tutto il mondo vive solo in queste
acque. Curioso è il suo metodo di nuotare con il ventre rivolto in alto.
Raggiunge una lunghezza massima compresa tra 9 e 12 mm. Depone le uova
lungo le sponde del Lago, queste si schiudono solo quando le condizioni
ambientali sono favorevoli, solitamente in primavera o estate, tale caratteristica
è ciò che permette alla specie di sopravivere in un ambiente cosi ostile.
Aggiriamo il lago guardando con meraviglia il grande nevaio permanente
che lo alimenta, portandoci sulla riva nord per il pranzo, sono le 13.
La temperatura gradevole e lo scenario
grandioso tolgono ogni voglia di ripartire; il tempo però sta decisamente
peggiorando, ci rendiamo conto che presto potrebbe iniziare a piovere
perciò con malcelato dispiacere ci incamminiamo verso Cima Piscini dove
inizia il sentiero (segnavia 2) che percorreremo per tornare
a Castelluccio. Pochi metri a valle del lago si trova la Fonte del Lago,
il primo punto dalla partenza dove è possibile trovare acqua. Notiamo
subito delle tracce che tagliano lo ghiaione alla base della Punta del
Diavolo, un approfondito consulto della cartina serve a chiarirci le
idee, meglio prendere una di queste tracce che portano direttamente
a Forca Viola senza scendere per risalire poi per oltre 200 metri. Dobbiamo
attraversare un altro nevaio dove la neve è ancora durissima, fatichiamo
un bel po’ a inciderla con le suole degli scarponi. Dal fondo valle
giungono le prime avvisaglie della pioggia imminente, la cima del Vettore
è scomparsa tra le nuvole, oramai è sicuro che ci bagneremo. L’efficientissimo
servizio meteo (la ben nota pelata) annuncia quasi subito le prime gocce;
un gruppetto affretta il passo ma alcuni sono piuttosto stanchi e non
cambiano ritmo, pazienza restiamo con loro per vivere insieme questa
nuova avventura di cui però avremmo fatto a meno! Mannaggia, il temporale
si sposta verso est, ci segue, che sfiga ce lo beccheremo tutto. Nonostante
la pioggia il sentiero si mantiene sicuro, facilmente percorribile e
non scivoloso. Raggiunta Forca Viola (m. 1936) proseguiamo sul sentiero
(segnavia 2) iniziando gradualmente a scendere verso Colle Abieri
(m. 1800) e la valle delle Painacce. Intanto arrivano i primi tuoni,
ci mancavano anche questi! Per il momento sono ancora lontani, inutile
sollecitare ad allungare il passo, i nostri amici proprio non ce la
fanno, i tuoni però si avvicinano. Camminiamo in silenzio come se anche
parlare attirasse i fulmini.
Oramai fradici ma indenni arriviamo alla Capanna Grezzi
(m.1570) un casolare usato dai pastori con una stanza adibita a rifugio
dal CAI di Perugina, anche qui è possibile trovare acqua, ehm anche
quando non piove come oggi beninteso! Un pastore ci fornisce la chiave,
ci rilassiamo un attimo cambiandoci gli indumenti bagnati. Salutiamo
imboccando la strada sterrata che inizia vicino agli abbeveratoi (segnavia
2). Piove ancora abbondantemente anche se il temporale si è oramai
spostato, probabilmente faremo anche in tempo ad asciugarci prima
di arrivare. In effetti quando sbuchiamo nel Pian Grande è oramai
smesso di piovere col sole che fa di nuovo capolino. Passiamo in mezzo
ad immensi campi di lenticchie, le famose lenticchie
di Castelluccio. Il culmine della fioritura è passato da tempo,
resistono solo chiazze di colore che ancora regalano ai campi una
bellezza unica. Vorremmo evitare l’asfalto tagliando per i pascoli
ma un cane da pastore non è del tutto d’accordo. Siccome è pure grosso
evitiamo, facciamo un poco onorevole dietrofront adattandoci al solito
benedetto asfalto. Almeno non è bollente come domenica scorsa sulle
Apuane!!! Alle 16,30 siamo di ritorno a Castelluccio sotto un bellissimo
sole che ci regala un’ultima goccia di sudore. Ora una bella doccia
poi shopping tra le ghiottonerie tipiche e quindi a cena insieme ai
turisti, quattro chiacchiere e infine a nanna. Domani ci attende una
giornata durissima, faremo i turisti anche noi, una giornata intera
in pullman evviva (?)
NOTA.
Noi abbiamo scelto di concludere l'escursione a Castellucci di Norcia
dove avevamo la sistemazione nelle strutture ricettive locali. Tuttavia
è possibile, allungando di circa un'ora la percorrenza, tornare
a Forca di Presta seguendo la strada carrozzabile (asfaltata) che
si incontra sulla sinistra lungo lo stradone che attraversa il Pian
Grande.
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